Ecco, ora anche Sadiq Khan, il multiculturale sindaco di Londra, si scopre difensore del diritto universale di voto e, prendendo a prestito la scusa della pandemia che sta colpendo soprattutto le minoranze etniche e gli anziani, ha chiesto al ministro della Costituzione di istituire le procedure per il voto per corrispondenza nelle regioni che dovranno eleggere i propri rappresentanti nel prossimo mese di maggio.
Khan ha capito che questa pandemia, ‘eterodiretta’, colpisce in maniera particolare i ‘BAME’ (black, asian e minority ethnic), vale a dire i britannici non bianchi, e ritiene quindi che sia responsabilità dei reggitori impegnarsi affinché gli effetti del virus non si ripercuotano negativamente sull’esercizio dei diritti civili, in questo caso quello del voto.
Il sindaco di origini pachistane ha voluto sottolineare, molto maliziosamente, che il tema del voto per corrispondenza deve essere inteso non come un calcolo politico interessato ma come la necessità di assicurare la massima partecipazione del cittadino all’esercizio della democrazia.
Del resto, il voto per corrispondenza ha mostrato tutti i suoi limiti dovunque sia stato introdotto: in Francia è vietato dal 1975, in Gran Bretagna, introdotto da Tony Blair nel 2001, è stato sospeso proprio a causa dei brogli da cui è stato caratterizzato, senza dimenticare il disastro delle ultime elezioni USA dove molte criticità si sono riscontrate proprio nello spoglio del voto per corrispondenza.
Ritornando nel nostro alveo, non possiamo sottacere la legge Tremaglia proprio per l’esercizio del diritto di voto all’estero, studiata nel suo spirito per dare giusta rappresentanza alla nostra comunità emigrata, ma fallita ad esempio nella difficoltà di recapitare ai diretti interessati il plico elettorale (inviato con semplice posta ordinaria, come una réclame di supermercato) nei brogli e nelle nefandezze, letteralmente di tutti i colori, visto, ad esempio che un candidato de ‘l’Altra Sicilia’ (Francesco Paolo Catania) era dovuto ricorrere ai carabinieri per bloccare lo scrutinio di buste di colore palesemente diverso da quelle ufficiali, nel cafarnao di Castelnuovo di Porto, centro di raccolta dei plichi elettorali provenienti dai vari consolati italiani nel mondo.
Ritornando quindi alla vicenda inglese, per ribattere le manovre di Sadiq Khan, i conservatori, attraverso il premier Boris Johnson, stanno studiando l’obbligo di un documento di identità ‘Id card’ che possa servire ad attestare l’età, la nazionalità e naturalmente per votare. E anche per ordinare una birra allo stadio.
Come prevedibile però i laburisti sono insorti tacciando di carta Prussiana l’iniziativa governativa della Id Card, sottacendo o dimenticando però che nel 2005, i consiglieri laburisti del comune di Birmingham, Shafaq Ahmed, Shah Jahan, Ayaz Khan, Mohammed Islam, Muhammed Afzal e Mohammed Kaziersni erano tutti stati riconosciuti colpevoli di frode elettorale per aver creato un ufficio di falsificazione dei voti ed aver manipolato proprio i bollettini del voto per corrispondenza.
Ed ancora un esempio eloquente di questo sistema di voto antidemocratico, è rappresentato dalla vicenda relativa alle elezioni legislative britanniche del 2015 quando gli attivisti di Luftur Rahaman, il primo sindaco musulmano di Gran Bretagna, eletto a suffragio universale, erano stati accusati di aver comprato i voti con fondi pubblici e di aver operato frodi postali per procurarsi le schede elettorali ancora integre e da compilare.
Nelle remore di dover adeguare ai tempi moderni ogni attività sociale e civile, anche l’espressione del voto, forse il vecchio sistema di recarsi fisicamente presso un seggio elettorale provvisti di un documento di identità valido, rimane l’unico antidoto contro ogni tipo di broglio e, alla fine, il solo sistema effettivamente democratico.