Dl Sostegni delude imprese e professionisti. In Parlamento corsa a modificarlo ma i margini sono stretti

di Dario Caselli

La parola passa al Parlamento. Dopo il via libera venerdì sera da parte del governo al dl Sostegni ora tutta l’attenzione si sposta su Senato e Camera, in ordine di esame del provvedimento, a cui toccherà discutere il decreto ed, eventualmente, modificarlo. Per la verità al momento ancora non c’è la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale ma soltanto la bollinatura della Ragioneria di Stato. Questo fa sperare che a breve dovrebbe arrivare il testo ufficiale e che, quindi, presto si possa aprire la contesa parlamentare.

In realtà, da quello che si percepisce lo spazio per le modifiche di deputati e senatori non sarà ampio. Anzi, i 32 miliardi sembrano sostanzialmente blindati nelle varie destinazioni di spesa e perciò poco sarà concesso ai parlamentari. Comunque, rispetto a prima ci saranno maggiori possibilità di discussione non fosse altro per il fatto che, come sembra, dovrebbero essere tre i passaggi parlamentari, il che significa che quel monocameralismo di fatto introdotto dal governo Conte è ormai alle spalle.

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Un piccolo passo avanti per quanto riguarda la dialettica politica tra governo e Parlamento e un elemento, senza dubbio, di distensione. Che poi questo porti a un reale e concreto rafforzamento del potere emendativo di Camera e Senato è tutto da vedere. Ma almeno l’apparenza in questo contesto è stata salvata.

Per quanto riguarda il merito del provvedimento bisognerà ancora attendere, visto che il testo definitivo ancora non c’è. L’auspicio che viene da più parti e che almeno su questo ci sia una discontinuità rispetto al governo Conte, che molto spesso ha fatto attendere anche settimane prima che il decreto venisse pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.

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Ciononostante, dopo le iniziali dichiarazioni di circostanza iniziano ad affiorare le prime prese di posizione dei vari partiti ma anche delle stesse categorie professionali. Ad esempio, Confcommercio parla di «topolino partorito dalla montagna» e di «risorse ancora insufficienti», spiegando che «con il decreto Sostegni il ristorante tipo che nel 2019 fatturava 550mila euro e che nel 2020, a causa degli oltre 160 giorni di chiusura imposti dalle misure di contenimento della pandemia da Covid, ha perso il 30 per cento del proprio fatturato, 165mila euro, beneficerà di un contributo una tantum di 5.500 euro».

E non va meglio sentendo i commenti degli autonomi e delle Partite Iva per i quali si tratta di «un primo passo» ma «non siamo completamente soddisfatti». Anche qui i numeri sono impietosi: «I sostegni non coprono le perdite reali subite da categorie che sono ferme da quasi un anno con abbattimenti di fatturato tra il 70 e il 90 per cento».

Giorgia Meloni su aborto e Ru486
Giorgia Meloni

Fin qui gli operatori del settore, ma passando al piano politico i toni si fanno più apri. A cominciare dall’unica opposizione in Parlamento, quella di Fratelli d’Italia. Giorgia Meloni parla di «cifre ridicole» perché «conti alla mano le imprese a cui è stato imposto di non lavorare percepiranno aiuti che vanno dall’1,7 per cento a massimo il 5 per cento rispetto alla perdita annuale. Chi nel 2020 ha perso 40.000€ di fatturato percepirà 2.000€ di aiuti, chi ne ha persi 120.000€ avrà diritto al massimo a 5.000€».

Insomma, per la leader di FdI: «Draghi è sulla linea della perfetta continuità con il governo Conte: depressione dell’economia con chiusure forzate, briciole per le imprese che rimangono in vita e soldi a pioggia per incentivare la moneta elettronica che garantisce la rendita a banche e società finanziarie».

Ma anche nella maggioranza qualche muso lungo si scorge. Matteo Salvini non lo ammette apertamente, ma è evidente che quando dice che «nel prossimo decreto ad aprile ci sarà bisogno di mettere non qualcosina, ma una montagna», suona come una mezza bocciatura. E poi continuando fissa la nuova asticella: «E’ la benzina da rimettere nel motore. Con 20 miliardi non vai da nessuna parte, se servono anche 100 miliardi».

Pure da Forza Italia i commenti non sono entusiastici, come senza giri di parole fa capire Antonio Tajani: «Il governo è cambiato ma purtroppo non ha tutelato i non garantiti, quelli senza stipendio fisso. Il decreto dell’altra sera è ancora figlio degli stanziamenti del vecchio governo. Certo, c’è stato un cambio di passo ma non è assolutamente sufficiente».

Enrico Letta

Più defilati il Pd e il M5S forse perché alle prese con i difficili assetti interni. Per il neo segretario Enrico Letta lo scoglio è ora i capigruppo di Camera e Senato. Non avendo ricevuto le loro dimissioni, come forse sarebbe stato opportuno visto il cambio al vertice del Partito, l’ex premier ha deciso di aggirare l’ostacolo proponendo due donne alla guida dei rispettivi gruppi parlamentari. Letta non fa nomi, ma questa semplice ipotesi ha mandato in subbuglio tutto il Partito. Comunque, per il momento tutto è congelato in attesa della riunione dei gruppi con Letta domani.

Stessa confusione nel M5S dove continua il lavoro di Giuseppe Conte per la conquista e ricostituzione del Movimento a sua immagine e somiglia. Il silenzio che circonda l’operazione evidenzia sia la complessità e la delicatezza del compito, dal quale, è ormai convinzione di tutti, dipende la sopravvivenza dei Cinquestelle.

L’auspicio di tutti è che questa settimana arrivi il testo definitivo del dl Sostegni consentendo l’incardinamento in Senato. E da allora inizierà il percorso parlamentare ed i 60 giorni entro i quali convertirlo in legge. Ma intanto c’è già un altro obiettivo: il def e lo scostamento di bilancio, lì Lega e Fi che sono uscite sconfitte nell’ultimo CdM cercheranno senza dubbio di rifarsi. Chiaramente, Draghi permettendo.

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