La fuga degli studenti al Nord costa oltre 4 miliardi al Sud. Per lo Svimez le risorse del Recovery fund vanno rese strutturali

Capitale umano come fattore economico di produzione che genera ricchezza e sul quale occorre assolutamente investire rendendo stabili le risorse previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilenza. È il parere espresso dallo Svimez, l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, analizzando gli effetti economici dell’emigrazione universitaria.

Le economie moderne, a partire dalla seconda metà del ‘900, hanno ben presto compreso che, al pari del capitale fisico, anche su quello umano si può investire traendone profitto. È, infatti, soprattutto l’investimento in istruzione, cultura e ricerca scientifica a generarlo. Di contro, lo svuotamento delle università segna un progressivo decadimento economico e sociale dei territori.

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Ed è proprio questo che è emerso dallo studio Svimez, che ha evidenziato una progressiva emigrazione di studenti meridionali verso gli atenei del Centro-Nord: da 134 mila, nel 2007, ai 158 mila registrati nel 2018.

Rapportato al numero di tutti gli iscritti nelle università del Meridione, pari a 685 mila, lo Svimez rileva una perdita netta del 23% del totale della popolazione universitaria del Mezzogiorno.

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Un flusso migratorio che non riguarda, come nel passato, solo le persone in età lavorativa ma coinvolge sempre più gli studenti universitari attratti da una “superiore” offerta formativa, dalla possibilità di accesso a contesti territoriali più dinamici ed in particolare dalla consapevolezza di poter soddisfare le proprie aspettative lavorative.

In altri termini, molti giovani meridionali non fanno altro che anticipare una futura decisione di emigrare alla ricerca di una migliore prospettiva lavorativa: una progressiva erosione di capitale umano altamente qualificato che nel lungo periodo è destinato a diventare un freno allo sviluppo delle regioni meridionali.

Lo studio ha osservato come questo “trasferimento di capitale umano”, oltre ad alimentare una spirale negativa sul sistema universitario (riduzione delle risorse finanziarie per minori iscritti e conseguente taglio dei finanziamenti statali) ha un impatto rilevante in termini macroeconomici incidendo sulla distribuzione del reddito e sui consumi, causando un “trasferimento di risorse” per circa 4,2 miliardi di euro a svantaggio del Sud.

In termini di Prodotto Interno Lordo, si stima che l’effetto della migrazione universitaria abbia generato, nell’intero periodo osservato 2007-2018, una contrazione di quasi due punti percentuali. Numeri rilevanti, tenuto conto che nello stesso periodo l’intero Mezzogiorno ha registrato una caduta del PIL di dieci punti percentuali. Arginare la migrazione degli studenti universitari verso il Nord avrebbe potuto contenere la relativa flessione di circa il 25%.

Nell’insieme, tra il 2007 e il 2018, il differenziale di crescita del PIL registrato tra Centro-Nord e Sud è stato pari al 9,6%. Senza la fuoriuscita degli studenti universitari meridionali si sarebbe quasi dimezzato.

Sulla scorta di questi dati, Svimez lancia la proposta di rendere strutturali, cioè permanenti, i 28 miliardi di investimenti previsti dal Recovery Fund alla missione “Istruzione e Ricerca” ed in particolare i 3 miliardi programmati per il diritto allo studio, di cui 1 ad alloggi per studenti e borse di studio e 2 miliardi all’accesso gratuito all’Università.

Risorse indispensabili, sottolinea l’istituto di ricerca, affinché l’accesso alla formazione universitaria diventi un processo in grado di includere la maggior parte dei giovani e di rilanciare un percorso di accumulazione di capitale umano qualificato che rappresenta una componente essenziale di una strategia di riduzione del divario strutturale di sviluppo tra Nord e Sud.

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