Priorità: è il momento del Sud. Se non ora, quando?

di Mimmo Della Corte

L’incarico a Draghi è stato accolto con soddisfazione oltreconfine e, forse troppo, ottimismo, e molto, opportunismo, all’interno. Lo dicono: le lodi dei vertici europei, la discesa dello spread fra Btp e Bund, il coro di “si” dei partiti, in contrapposizione all’unico «non voteremo la fiducia» della Meloni.

L’ok, quindi, sembra scontato, ma nell’attesa, da “sudista” – visto che nella prima tornata di consultazione tutti sembrano essersene dimenticati – è giusto ricordare al premier incaricato che la crescita dell’Italia passa soprattutto, dallo sviluppo del Sud.

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Dall’articolo a sua firma sul Messaggero del 27/11/09 “Fare del Sud la vera questione nazionale” sembrava esserne consapevole anche lui e spero non abbia cambiato idea. Perché 12 anni dopo le distanze fra Nord e Sud si sono ulteriormente allargate.

Purtroppo, nonostante una legge speciale del 1950 imponesse alle partecipate pubbliche, ministeri ed amministrazioni statali di destinare al Sud il 40% degli investimenti ordinari, le risorse arrivate al Mezzogiorno non hanno mai superato lo 0,5% del Pil, contro il 35 del Nord.

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E la storia rischierebbe di ripetersi se – nonostante l’Italia abbia ottenuto dall’Ue la quota più alta dei fondi “Recover”, proprio per aiutare il Meridione a recuperare i ritardi – si seguisse la strategia della bozza di “piano” di Conte e Gualtieri e al Sud ne arrivasse soltanto il 34% quanto la percentuale di popolazione residente nel suo territorio.

Tanto più che gli attenti a quei due, invece di aggiungere risorse per il Mezzogiorno, come “dettato” dall’Ue, hanno pensato bene anche di sottrarre dalla sua quota di Fondo sociale di sviluppo e coesione ben 16 miliardi per aumentare il totale del Pnrr. La speranza è che Draghi raddrizzi la barra.

Ma da cosa è dipeso tutto questo? Forse, da quell’articolo 67 («Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza alcun vincolo di mandato») della nostra Costituzione, la “più bella del mondo”, ma anche la più disattesa da quelli che pur le riconoscono tale merito.

Di consguenza, i parlamentari sono svincolati sia dai partiti nelle cui liste sono eletti o meglio nominati; sia dai propri elettori e dal territorio nel quale sono votati e a cui dovrebbero dar conto.

Il che, da un lato, è una delle ragioni più significative del trasformismo che ha prodotto, la crisi del sistema politico e tiene sotto scacco la quotidianità delle nostre assemblee elettive. Solo in questa legislatura sono stati ben 143 i parlamentari che hanno cambiato casacca. E diversi anche più d’una.

Dall’altro si è trasformato in una sorta di pietra tombale sullo sviluppo del Mezzogiorno, i cui rappresentanti – in mancanza del vincolo costituzionale – evidentemente non hanno sentito neanche quello morale di rispettare la fonte del proprio consenso. Sicché, hanno finito per preoccuparsi più degli interessi personali e delle proprie clientele, piuttosto che quelli meridionali.

Tant’è che: a 160 anni dalla similfinta-unità, il governo continua a foraggiare l’Associazione Volontari e reduci garibaldini, (dal 1860 ad oggi, quanti ce ne saranno ancora in giro?); premialità e risorse vengono attribuite alle università sulla base di criteri che penalizzano quelle del Sud: il numero dei pasti erogati e degli alloggi per gli studenti; il numero di studenti che si iscrivono al secondo anno e quello dei laureati che trovano lavoro entro 3 anni dalla laurea (ma se al Sud la disoccupazione e al “top”!); dal 1931 una legge costituzionale indica esplicitamente quanti: 17 e quali siano gli enti culturali da sostenere: 13 del Centro-Nord; due di livello internazionale e due nazionali. Nessuno al di sotto del Garigliano.

Purtroppo, devono farsi perdonare l’essere del meridionali; rca al Sud decisamente più alta (in qualche caso adddirittura tripla) che al Nord. Ancora, in occasione del raddoppio del Canale di Suez, l’allargamento di quello panamense e la riapertura della “via della seta”, il governo Renzi, preferì favorire la piattaforma logistico-portuale del Nord-Est, tagliando fuori i porti meridionali. Senza che alcun parlamentare del Sud, osasse protestare.

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