Si allargano i sì per Draghi, ma il centrodestra si spacca: FdI per il no, Fi per il sì. Oggi è il giorno della Lega

di Dario Caselli

Tre sì e un no. Italia Viva, Pd e Forza Italia. Dall’altro Fratelli d’Italia. Si chiude senza dubbio in positivo la seconda giornata di consultazioni per Mario Draghi che ormai sembra vedere il traguardo del suo governo. Oggi toccherà alla Lega e al Movimento Cinquestelle, e se non ci saranno sorprese dovrebbero arrivare due sì. Lo scenario che, quindi, si prospetta per l’ex governatore della Bce è senza dubbio positivo e rassicurante rispetto a quello immediatamente successivo al conferimento del suo incarico da parte di Mattarella.

La maggioranza assoluta sembra essere in tasca a Draghi che a conti fatti potrebbe registrare come unico no quello di Fratelli d’Italia, che con coerenza ieri ha ribadito che non voterà la fiducia. Certo, bisognerà vedere al secondo giro di consultazioni se ci sarà qualche cambiamento visto che ancora tanto del governo Draghi è avvolto nella nebbia. A partire dalla sua natura: sarà politico o puramente tecnico? Ci saranno alcuni ministri del vecchio governo o saranno tutte facce nuove? E soprattutto saranno presenti i leader dei partiti che comporranno la maggioranza?

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Dubbi che finora Draghi non ha risolto, rimanendo nel corso delle consultazioni con le delegazioni particolarmente abbottonato. Ha preferito prendere appunti ed attenersi al perimetro segnato dal presidente della Repubblica il giorno in cui gli ha conferito l’incarico, e cioè che l’Italia attraversa una gravissima crisi economica, sanitaria e sociale e alla quale bisogna subito opporre scelte e misure efficaci.

Oltre non è andato Draghi. Come detto forse nel secondo giro di consultazioni sarà più ciarliero risolvendo gli interrogativi su cui, peraltro, molti partiti continuano ad indugiare. Infatti, chi da un lato e chi dall’altro tirano il governo sul fronte politico o sul fronte tecnico per adattarlo alle proprie esigenze e soprattutto per giustificare la scelta di aderirvi o meno.

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Giorgia Meloni

Come detto però chi ha già deciso di tirarsi fuori è Fratelli d’Italia che ieri con Giorgia Meloni ha chiarito bene la posizione del suo partito. Per la verità non una novità, visto che già nel corso delle trattative intavolate dal centrodestra per un fronte comune aveva espresso questa posizione offrendo al massimo l’ipotesi dell’astensione quale punto di caduta dell’intera coalizione. Venuta meno questa per la volontà, in primo luogo di Forza Italia, di sostenere il governo, e probabilmente anche della Lega (lo scopriremo oggi), la Meloni è andata dritta all’opposizione.

Una scelta, che come ha spiegato, non è «un pregiudizio verso Draghi» quanto piuttosto «una ragione di merito e di metodo». Per la leader di FdI «la questione di metodo è che noi continuiamo a considerare che l’Italia non sia una democrazia di Serie B e che gli italiani non siano cittadini di Serie B e che come tutti i popoli al mondo abbiano diritto di scegliere da chi farsi rappresentare: solo le elezioni possono portare a un governo forte e coeso».

Quella di merito, invece, è che «il presidente incaricato Draghi rischia di trovarsi con gli stessi problemi che abbiamo avuto fin qui, con una maggioranza troppo eterogenea e un Parlamento a tratti balcanizzato che rischia di portare ancora all’immobilismo nonostante la capacità e l’autorevolezza di chi guida l’esecutivo e temo che si stia andando verso una maggioranza in cui le figure preponderanti siano quelle che ci hanno portato verso il disastro nel quale ci troviamo oggi».

Ma c’è un altro punto che sottolinea la Meloni e cioè quello della durata del governo: «Abbiamo chiesto al premier incaricato se il suo sarà un governo a termine, che consenta di riportare al voto gli italiani a giugno. Non è così, l’orizzonte è più lungo, di legislatura». Tema non marginale perché come chiarisce: «Un Governo per mettere in sicurezza il Recovery Plan e gli italiani dall’emergenza Covid, che porti il Paese alle elezioni e che duri fino a settembre, lo voterei. Non posso invece valutare un Governo di legislatura».

Ma non sarà così. Sul piano però del tipo di atteggiamento che FdI avrà rispetto al governo Giorgia Meloni aggiunge che sui singoli provvedimenti siamo disposti a «dare una mano all’Italia come sempre abbiamo fatto da forza politica responsabile e patriottica. Le nostre proposte non sono mai mancate e non mancheranno domani e speriamo di trovarci di fronte a qualcuno che abbia maggiore voglia di ascoltare di quanto è avvenuto in passato».

«Per dare una mano – afferma – non abbiamo bisogno di ministri e sottosegretari, se arriveranno provvedimenti che consideriamo utili per far ripartire l’Italia noi sosterremo quei provvedimenti». Quell’opposizione patriottica già sperimentata con il Conte 1 e Conte 2 ma che entrambi i due Esecutivi avevano respinto.

Antonio Tajani

Fin qui Fratelli d’Italia. Ma Draghi può sorridere incassando nella stessa giornata il sì del Partito democratico e di Italia Viva. A fare più rumore è senza dubbio quello di Forza Italia che, inoltre, evidenzia plasticamente la rottura del centrodestra in attesa delle scelte della Lega. Assente alla fine Berlusconi, che si è sentito telefonicamente con Draghi, Antonio Tajani ha confermato «il pieno appoggio» a un governo «capace di rappresentare il Paese coinvolgendo le forze migliori del Paese per affrontare insieme la più grave emergenza economica e sanitaria dal Dopoguerra».

Sostegno, che si affretta a chiarire Tajani, «non implica la nascita di una nuova alleanza politica ma un governo dei migliori. L’alto profilo del presidente Draghi è garanzia non solo della credibilità dell’esecutivo in Europa e nel mondo ma anche della serietà del progetto».

Oggi, come detto, toccherà alla Lega prendere una decisione sul governo Draghi. La sensazione è che anche da Salvini potrebbe arrivare il via libera a Draghi anche se rimangono sul campo tutte le incognite sul tipo di partecipazione, con o senza ministri, e soprattutto sulla convivenza con gli altri partiti, specie con il Pd con il quale proprio sull’immigrazione è stato ingaggiato un duro corpo a corpo. La verità, però, è che si fa sentire sempre di più la pressione dell’ala governista rappresentata dal ceto produttivo del Nord e dalle Regione del lombardo-veneto che chiedono a Salvini di sedersi al tavolo di governo.

Beppe Grillo
Beppe Grillo

A chiudere le consultazioni il M5S, alle quali parteciperà anche Beppe Grillo. Il fondatore e ormai solo garante è arrivato a Roma nella serata di ieri per cercare di serrare le file e ridurre le sacche di scontento nel Movimento. Si parla, ad esempio, in Senato di una cinquantina di senatori pronti ad astenersi. Il tentativo di Grillo sarà quello di convincere i riottosi e orientare il M5S verso la fiducia a Draghi per evitare di assistere all’ennesima divisione interna che indebolisca il Movimento.

Comunque per il governo tutto è rimandato alla prossima settimana quando dopo il secondo giro di consultazione il governo Draghi dovrebbe mostrare la sua fisionomia. E chissà che non ci siano delle sorprese.

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