Niente Conte ter, almeno per il momento. Il primo e preliminare verdetto di questo giro di consultazioni si conclude con un mandato esplorativo al presidente della Camera, Roberto Fico a cui, come ha spiegato il presidente Sergio Mattarella spetterà il compito di verificare «la prospettiva di una maggioranza politica, composta a partire dai gruppi che sostenevano il governo precedente». E questo per «non lasciare il nostro Paese esposto agli eventi in questo momento così decisivo per la sua sorte» perché «è doveroso dar vita – presto – a un governo, con adeguato sostegno parlamentare».
Mattarella, quindi, non si è fidato di quanto ha visto e ascoltato, direttamente e indirettamente, dai protagonisti della crisi. Ha ritenuto ancora troppo debole la tela per affidare direttamente a Giuseppe Conte il compito di verificare se la vecchia maggioranza sia ancora tale e possa varare un patto di legislatura per giungere fino al 2023. O almeno fino all’elezione del nuovo inquilino del Colle. Ma soprattutto il fatto che le consultazioni di Fico si protrarranno fino a martedì conferma quanto Mattarella consideri la situazione incerta e confusa. Dire che bisogna dare presto al Paese un governo e poi prevedere quattro giorni di ulteriori consultazioni, dopo i tre del Quirinale, evidenzia come sia ben chiaro al presidente della Repubblica la delicatezza del momento.
E ciò indica anche che la partita è tutt’altro che chiusa e scontata, anzi la prospettiva del Conte ter è una delle tante poste sullo sfondo e che rispetto alle altre, quello di un governo istituzionale ad esempio, non ha maggiori probabilità di riuscire. Quello che comunque sembra chiaro al momento è che difficilmente Mattarella avvierà il Paese lungo il cammino delle elezioni. Lo conferma quella sorta di preambolo che poi è servito ad annunciare il mandato esplorativo. Il richiamo alle «tre emergenze – sanitaria, sociale, economica», alle «nuove, pericolose, offensive della pandemia», alla «pesante crisi sociale» e infine a «l’utilizzo, rapido ed efficace, delle grandi risorse, predisposte dall’Unione Europea», rappresentano tante premesse di un teorema molto chiaro: votare adesso è impossibile.
Un governo a tutti i costi, a partire da quello che c’era verificando se la maggioranza sia ancora tale. E poi nel caso di fallimento procedere alla soluzione B, quella che lo stesso Matteo Renzi ha già vagheggiato: il governo istituzionale guidato da un alto profilo (l’ex presidente della Consulta Cartabia?) e con esponenti di primissimo piano ad occupare i ministeri chiave (Mario Draghi all’Economia?). Si vedrà, c’è tempo fino a martedì per Roberto Fico.
Intanto, la prima tappa di questo Gran Premio della crisi di governo se l’aggiudica senza alcun dubbio Matteo Renzi, che consegue una vittoria piena: niente incarico a Conte, prima la verifica della maggioranza con il programma e la dichiarazione del M5S di non avere veti nei confronti di Italia Viva. Se poi a questo ci uniamo che è stato definitivamente certificato il fallimento dell’operazione responsabili, per la quale dalle parole di Mattarella si è anche percepito un certo fastidio, si ha la chiara dimensione del successo politico ottenuto dall’ex sindaco di Firenze.
Insomma, chi di asfalto ferisce di asfalto perisce. Il tema adesso sarà capire se Renzi si accontenterà di vincere o vorrà stravincere, con il che s’intende la definitiva uscita di scena di Giuseppe Conte, anche se la convinzione di molti è che l’ex sindaco di Firenze non si possa spingere troppo visto che rischierebbe di spaccare il suo gruppo ed indebolirsi. Quindi prudenza. Comunque è ancora presto per dire quali saranno le mosse di Renzi, ma la sensazione è che egli voglia affondare il colpo contro il suo avversario, il che potrebbe anche essere di far pesare la sua centralità sia sul piano del programma di governo e sia sulla composizione dello stesso.
Il che comunque metterà Conte in una condizione di evidente minorità. In breve, dimentichiamoci le conferenze stampa in streaming, gli Stati Generali decisi in solitaria e l’attività di governo a colpi di Dpcm. Si cambierà musica. E la riprova sono le prime dichiarazioni di Ettore Rosato, presidente di Italia Viva, che indica gli obiettivi dei renziani: «Noi pensiamo che gli italiani oggi hanno in testa tre cose: l’emergenza economica, la crisi sanitaria, con la preoccupazione per il piano vaccinale. E terza cosa l’emergenza scolastica, con i nostri ragazzi non vanno a scuola da un anno. Facciamo un patto di legislatura dove mettiamo questi contenuti e sono sicuro che faremo un governo adeguato ad affrontare l’emergenza».
Economia, Sanità e Scuola, non solo tre punti ma anche tre dicasteri ai quali Renzi potrebbe guardare con grande attenzione e su cui potrebbe decidere di dire la sua e far sentire tutto il suo peso. Ecco perché è tutt’altro che scontato il compito di Fico, anzi adesso viene il difficile perché bisogna realizzare quell’ordito sul quale poi andare a tessere la tela del governo, e basterà davvero poco per far crollare tutto.
E’ chiaro che l’esito dipenderà non solo da Renzi ma anche dal Pd e dal M5S. Quest’ultimo nelle consultazioni di ieri attraverso le parole del capo politico, Vito Crimi, anche se a mezza bocca e senza mai citare Italia Viva ha dovuto bere l’amaro calice della ritirata. Da «le nostre strade si dividono» a «è il momento di fare un passo avanti, tutti insieme» per «un confronto con chi intende dare risposte concrete nell’interesse del Paese, con spirito collaborativo, per un governo politico che parta dalle forze di maggioranza che hanno lavorato in questo ultimo anno e mezzo insieme».
Una resa che ha suscitato l’immediata reazione di Alessandro Di Battista e dei suoi seguaci (al Senato conta circa due o tre esponenti) il quale ha ribadito: «Tornare a sedersi con Renzi significa commettere un grande errore politico e direi storico. Significa rimettersi nelle mani di un “accoltellatore” professionista». Posizione che comunque non sembra preoccupare più di tanto il vertice Cinquestelle che conta di avere il controllo della pattuglia parlamentare.
Tutto ciò comunque dimostra che la strada di Fico non sarà agevole e che i rischi sono dietro l’angolo e che l’immediato e rinnovato sostegno a Conte sia da parte del M5S e del Pd anche dopo il conferimento del mandato esplorativo non risolve i problemi.
Da spettatore invece il centrodestra che ieri alle consultazioni al Quirinale in una delegazione al completo (erano 13 esponenti in tutto, un assembramento) ha per bocca di Matteo Salvini chiesto al Capo dello Stato di «valutare l’ipotesi di scioglimento delle Camere e del ricorso ad elezioni», auspicando «che sia così offerta agli italiani la possibilità di dare vita in breve tempo ad un governo coeso con un programma comune condiviso dagli elettori e con una maggioranza forte per affrontare in tempi brevi i gravi problemi della nazione».
Insomma, la linea Meloni del voto e del ritorno alle urne su cui l’esponente di Fratelli d’Italia è riuscita a far convergere tutto il centrodestra, anche se rimane uno spiraglio nel senso che «tutti i componenti si sono riservati, ove non si andasse ad elezioni, di valutare con il massimo rispetto ogni decisione che spetta costituzionalmente al Capo dello Stato all’esito delle consultazioni in corso». Il che significa che nel caso di un fallimento di Fico e la nascita di un governo istituzionale il centrodestra potrebbe dividersi.
Scenari futuri e comunque tutti da verificare che riflettono l’immagine di una generale incertezza e confusione, figlia anche del gravissimo momento che l’Italia e gli italiani stanno vivendo. Ai quali proprio nel momento del bisogno è venuto a mancare una maggioranza e un governo. Un aspetto su cui qualcuno farebbe bene riflettere in vista di martedì.
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