Covid-19. La mia ‘quarantena’ a Lamezia Terme. Un’Odissea comune a tante altre città della Calabria?

di Marco Carmine Foti

Il 2 gennaio, per essere stato a contatto con un soggetto positivo, scattano le allerte, le preoccupazioni. Effettuo immediatamente, in modo autonomo e privatamente, un tampone antigene, il quale risulta negativo. Meglio, sono più tranquillo. Faccio inviare tempestivamente la comunicazione al medico curante del contatto e contestualmente inizio l’isolamento domiciliare.

Nel frattempo cresce la preoccupazione in tutti noi, un bel da fare con i ragazzi. Trascorrono i giorni, siamo al 4 gennaio. Nessuno si fa sentire. Non ho notizie, sono nel limbo tra l’abbandono e la lenta burocrazia. È il tardo pomeriggio del 4 gennaio e l’Ufficio “Covid” (così si sono presentati) finalmente ci contatta e quindi si possono comunicare i nominativi delle persone poste in isolamento domiciliare.

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Il 5 gennaio eseguo privatamente ancora un altro tampone antigene, anche per i miei figli, fortunatamente negativo per tutti. In serata il messo comunale consegna l’ordinanza di quarantena domiciliare: chiuso in casa sino al 14 gennaio, invece che dal 12 gennaio, data della comunicazione del medico curante all’ASP. Pazienza due giorni in più per la sicurezza mia ed altrui.

Non voglio tediarvi su come si siano trascorsi questi giorni, che dovevano essere di festa per i ragazzi, per noi, invece rivelati infiniti, duri, difficili. Inizia la DID per i ragazzi, che prontamente le scuole attivano. Io riprendo a lavorare in smart working.

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Passano i giorni. Si avvicina il termine della quarantena. Il giorno prima della scadenza, quindi siamo al 13 gennaio, io ed i miei figli veniamo convocati presso il Distretto Socio Sanitario di Lamezia Terme (cd SAUB) per effettuare i tamponi molecolari. Mi aspettavo che qualcuno venisse da noi, invece.

Personale molto gentile, non c’è che dire, e professionale in relazione alla persona che ha effettuato i tamponi (specialmente ai ragazzi). Si è premurato di sottolineare più volte «che loro erano addetti soltanto a fare i tamponi per cui non potevano fornire alcuna informazione». Spiego che risiedo fuori regione ed ho stretta necessità di avere gli esiti del test. «Non sappiamo niente, rivolgetevi al Dipartimento». Inizio a sentire per la prima volta questa fatidica parola, il Dipartimento.

Tutto da ridire invece la location individuata per effettuare i tamponi. Sembrava il retrobottega di uno dei bassi genovesi (con tutto il rispetto per quest’ultimi). Senza parlare della segnaletica, posta nei muri con fogli A4, ed un percorso che sembrava di condurre la persona al patibolo, una porta a vetri opacizzata senza alcun segnale di avviso per aver raggiunto la destinazione. Tutto approssimativo, superficiale.

Attendo speranzoso il 14 gennaio, termine della quarantena. Non ricevo alcuna notizia in merito all’esito dei nostri tamponi. I ragazzi devono rientrare a scuola ed io a lavorare. Siamo al 15 gennaio. Non abbiamo alcun risultato sui nostri tamponi. Torniamo nuovamente nel limbo dell’incertezza, dell’attesa, della mancata partenza.

Alle 9 inizio a telefonare, contatto i numeri del fatidico dipartimento di Lamezia, dipendente dall’ASP di Catanzaro. Libero, nessuno risponde, occupato, libero, occupato. Mi rendo conto che il personale sia subissato di telefonate. Riprovo con tanta pazienza. A metà mattinata risponde un’addetta che esordisce dicendo «che se chiama per informazioni sugli esiti dei tamponi….».

Mi permetto di interromperla così che possa spiegare la nostra situazione. Il mio interlocutore prende nota, chiede tutte le informazioni del caso, mi rassicura dicendo che avrebbe verificato ed inviato per email gli esiti. Ho ringraziato per la gentilezza dimostrata.

Nulla per tutto il giorno. Un bluff. È venerdì, mi rendo conto che dovrò restare bloccato ancora per un we nonostante dall’ospedale ci abbiano comunicato che siamo negativi ed abbiamo concluso la quarantena. Ma non abbiamo il responso dell’esito per la ripresa della scuola in presenza. Tutto tempo perso. Gli esiti non li riceviamo per email. Siamo dovuti andare direttamente al dipartimento a ritirare i certificati. Siamo al 18 gennaio 2021.

Non c’è che dire. Un’esperienza allucinante. Ho toccato con mano le difficoltà che sta vivendo la sanità di Lamezia Terme, direi quindi quella calabrese, se venisse confermata questa criticità nelle altre città in Calabria.

Non è possibile che un comune cittadino debba effettuare centinaia di telefonate, dedicare tempo della propria giornata per sollecitare un “sistema” che dovrebbe essere ormai (purtroppo) automatizzato e normalizzato.

Non è possibile che un Ospedale, come quello di Lamezia Terme, ed un Dipartimento dell’ASP, sempre di Lamezia Terme, abbiano così tanta difficoltà nel dialogare e fornire tempestivamente i risultati dei tamponi, la cui comunicazione, apprendo, pare che avvenga ancora con la modalità fax.

Non è possibile che un cittadino, in quarantena per tutelare il resto della cittadinanza, sia “abbandonato” a se stesso, debba affrontare con le proprie forze l’articolata burocrazia. Mi metto nei panni di una persona anziana, di una persona che non ha dimestichezza con i sistemi informatici oppure che non ne abbia la facoltà o la conoscenza oppure che non abbia semplicemente i mezzi.

Come può superare questa criticità? Come può ritornare alla vita normale?

Ognuno di noi è consapevole della straordinarietà del momento, da qui il fenomeno della “pandemia”; non è accettabile però, a distanza di quasi un anno, non avere “modellizzato” e “sistematizzato” un processo che ormai è consolidato.

Non è ammissibile che una struttura sanitaria come quella di Lamezia Terme, struttura che deve seguire anche il comprensorio della cittadina, metta a disposizione locali inadatti e non risponda in modo efficiente alle richieste dei cittadini.

Non è consentito che un cittadino debba subire ingenti danni a causa della lentezza del sistema. Il cittadino deve avere dalla sua parte un welfare ed una sanità efficace.

Ing. Marco Carmine Foti

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