Già a metà del XVIII secolo nel territorio del Regno delle Due Sicilie si pubblicavano oltre un centinaio di giornali e giornaletti e decine di riviste scientifiche, culturali e specializzate. Era il frutto dell’interazione fra l’elevato numero di abitanti, l’importante presenza, rilevante dal punto di vista quantitativo e decisamente significativa sotto il profilo qualitativo, i gruppi intellettuali, e infine la notevole presenza di tipografie (solo nel capoluogo ce n’erano localizzate ben 113 che, con quasi 3.000 addetti, pubblicavano ben 400 libri all’anno.
Il che per l’Italia del tempo rappresentava un record inavvicinabile, caratterizzato da grandi tradizioni e da librai con importanti collegamenti con l’Europa ed il resto del Paese. Mancavano, è vero, presenze giornalistiche, politiche e culturali di un certo prestigio. Un’insufficienza che si trascinò almeno fino agli anni ’80 del ‘700, quando anche a Napoli cominciò ad affermarsi la stampa d’informazione a grossa diffusione. Ciò non vuol dire, naturalmente, che fino a quel momento i napoletani vivessero fuori dal mondo ed assolutamente disinformati su ciò che avvenisse intorno a loro. Anzi.
Sin dagli albori del secolo, infatti, a Napoli venivano compilati su fogli volanti, scritti a mano e distribuiti a chi ne faceva richiesta, ovviamente dietro pagamento, i cosiddetti ‘avvisi’ sui quali venivano registrati avvenimenti e notizie di un certo rilievo, tanto a livello locale quanto estero, che col trascorrere del tempo e, perché no, dell’esperienza di chi li redigeva, cominciarono ad assumere sempre maggiore spessore informativo, rilievo ed importanza. Diventarono, insomma, delle vere e proprie ‘gazzette’, in grado, per altro, di fare concorrenze a quelle che arrivavano nel vicereame, provenienti dagli altri Stati italiani.
E seppure Nino Cortese faccia risalire al 1681 la nascita della prima vera ‘Gazzetta’, che aveva cadenza settimanale ed era stampata in un palazzo dell’attuale via Monteoliveto, già nel 1631 i napoletani potevano fruire dell’informazione offerta da una ‘Gazzetta di Napoli’, sovvenzionata e, quindi, controllata dal vicereame.
Non si può dire, però, che quella del 1681, accreditata dall’autore del saggio ‘Cultura e politica a Napoli dal Cinquecento al Settecento’ come la mamma di tutti gli organi d’informazione partenopei, fosse più libera ed indipendente dell’altra: godeva, infatti, del privilegio accordato dal Governo ai suoi editori Domenico Antonio Parrino e Michele Luigi Muzio che, stanchi di limitare la propria attività alla gestione della loro libreria di Strada Toledo nei pressi di Santa Maria La Nova, avevano deciso di diversificarla, affiancando alla vendita dei libri, quella di editori e venditori di giornali.
Sicché non scoprirebbe di certo il segreto dell’uovo di Colombo chi, in conseguenza del vincolo rappresentato dalla concessione del privilegio governativo per la loro pubblicazione, dicesse che le notizie pubblicate sulle ‘Gazzette’ dovevano essere prese con il beneficio dell’inventario e senza lasciarsi troppo coinvolgere da quello che sostenevano.
Non per caso, quindi, di tanto in tanto, ma abbastanza spesso, i ‘riempitori’ di questi fogli venivano fatti oggetto di aggressioni e di violenze da parte di quelli che ritenevano offensivo il contenuto dei ‘racconti’ dei quali erano elevati al ruolo di protagonisti. Non a caso, ancora oggi, il termine di ‘gazzettieri’, con cui erano indicati all’epoca certi ‘veicolatori’ di notizie, poco preoccupati della loro veridicità, viene utilizzato in maniera assolutamente dispregiativa.
Quando, dopo essere salito al trono nel 1700, Filippo V di Spagna venne a Napoli, fra quanti chiesero di far parte del suo seguito, c’era anche un certo Nicola Bulifon, anch’egli ‘libraro’ e, poiché di origini francesi, pure lui ‘straniero’ e acerrimo nemico del Parrino. La richiesta era naturalmente e visibilmente funzionale al suo obiettivo primario ch’era quello di strappare al ‘vecchio gazzettiere’ il privilegio governativo per la pubblicazione del foglio. Obiettivo che riuscì effettivamente ad ottenere e grazie al quale, il 3 giugno del 1703, diede alle stampe il primo numero del suo giornale che, in forma grafica decisamente più snella ed elegante della precedente, era venduto nella bottega del Bulifon al Nido ed in quella di Nicola d’Acerra.
Bulifon, però, scoprì ben presto le sue carte filospagnole: cominciò, infatti, a fornire alle autorità di polizia tutti i nomi, i movimenti e le notizie relative ai simpatizzanti per l’Austria, cestinando le notizie che avrebbero potuto creare problemi alla Spagna.
E così, quando il 7 luglio del 1707 le truppe austriache, al comando del principe Martiniz attraversarono Porta Capuana e penetrarono a Napoli, mentre in piazza del Gesù Nuovo veniva distrutto il monumento equestre di Re Filippo, la libreria del Bulifon, sede della redazione del foglio di ‘Avvisi et Relationi’ nei pressi del Palazzo Maddaloni, veniva assalita e distrutta da un nutrito manipolo di rivoltosi. La licenza per la stampa, tornò, allora a Domenico Antonio Parrino che, nel frattempo, aveva cambiato socio e si era unito a Camillo Cavallo.
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