Un taglia e cuci complicato, difficile ma che ha tenuto impegnato per tutta la notte i tecnici del Ministero dell’Economia e Finanze sul Recovery Plan. Un lavoro per tentare di accontentare tutte le forze politiche e di ‘zittire’ il leader di ItaliaViva, Matteo Renzi e le tante critiche ricevute dai vari capi partito. Il nuovo testo sarà consegnato in mattinata al premier Conte a Palazzo Chigi, ma già filtrano le prime indiscrezioni. Infrastrutture sociali, istruzione e cultura sono i settori su cui gli stanziamenti sono cresciuti.
Molti hanno lamentato la presenza di pochi fondi per la Sanità e le ‘voci di dentro’ raccontano che sarebbero arrivate a 18 miliardi (a fronte dei 9) precedenti. Ma per Zingaretti e Renzi che da mesi, ormai, chiedono che l’Italia faccia accesso al Mes, potrebbero non bastare. Una spada di Damocle per il M5S, timoroso di dover accettare anche il Fondo salva Stati pur di salvare la poltrona, che potrebbe portare all’ennesima spaccatura nel partito.
Il Mes, secondo i bene informati, nelle scorse ore, sarebbe comparso nelle riunioni sul dossier per i fondi europei. Al premier Giuseppe Conte sarebbe stato proposto di inserire un terzo del Mes nel Recovery. Una cifra quindi pari a 12 miliardi.
I pontieri pentastellati avrebbero anche sondato diversi parlamentari ottenendo una risposta: è “complicato” che i gruppi tengano sul sì al fondo, anche se fosse un mini-Mes. In caso di inserimento del fondo nel Recovery, così come chiede costantemente l’ex sindaco di Firenze, il rischio spaccatura del movimento è matematico. E anche per questo, probabilmente, Conte ha frenato. Con il risultato che, al momento, il Mes non comparirebbe.
E mentre dal Partito Democratico e Italia Viva continuano a chiederne con insistenza l’attivazione, il Movimento continua a frenare. E la situazione di stallo nel Conte bis appare sempre più evidente. Il presidente Mattarella osserva da lontano silenzioso, ma ‘spifferi’ ribadiscono un assunto: da un lato c’è l’apertura – pur considerandola rischiosa – a un rimpasto e anche al Conte-ter; dall’altro c’è l’indisponibilità a “governicchi” con maggioranze abborracciate o di salute pubblica.
La via maestra in caso di crisi, quindi, non è neppure un governo istituzionale (circola, nei palazzi romani, sempre il nome di Marta Cartabia) ma quella del ritorno alle urne. Anche perché non bisogna dimenticare che è entrata a regime la riforma costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari.
Ma più che una voglia di tornare alle urne, quella del presidente Mattarella sembra un invito, anzi, un avvertimento: bisogna trovare la quadra (magari ingoiando qualche rospo) ma il Conte bis deve andare avanti e tirare ancora a campare.
Ed è una linea che il Pd, di fatto, sembra condividere. «Non è che ci piace votare in piena pandemia ma temiamo che le elezioni siano l’unica strada possibile perché tutte le altre ipotesi ad una soluzione costruita sulla base dell’attuale equilibrio, pur con i necessari ritocchi, non sono perseguibili», scandisce il vice segretario Pd Andrea Orlando ribadendo che prima di tutto serve ‘un patto di legislatura’.
Patto di legislatura quindi, “no” ad un’alleanza con la destra e ferma contrarietà ad una crisi al buio sono la stella polare del Pd. Che sia proprio la paura di una possibile – anzi, probabile – vittora della destra, a spingere Mattarella a trovare un a soluzione parlamentare alla crisi? Possibile, ma gli italiani capirebbero il perché sul colle si preferisca continuare ad affondare il Paese nel pantano, piuttosto che provare a rilanciarlo con l’unica soluzione possibile: le urne? “Ai posteri l’ardua sentenza”.
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