Il dibattito sulla pandemia tra virologhi autoproclamati ed epidemiologi, se da un lato sta servendo soltanto a screditare la professione, dall’altro ha aggravato un fenomeno che interessa la società contemporanea: la spaccatura generazionale, quella disputa esistente tra anziani e moderni che non è certo nata nel XXI secolo ma dura da tanto tempo.
Legati sin dalla loro formazione, in un corporativismo tipico della professione, i medici avevano fino ad oggi però conservato il rispetto dell’esperienza degli anziani, in un’attività professionale che seppure fondata sul criterio scientifico è stata sempre considerata alla stregua di un’arte. Un po’ come l’arte del cucinare che pur fondandosi su principi di base, di volta in volta può essere arricchita da una piccola nota personale, affinata dalla sperimentazione e corretta dall’errore.
Sin dagli anni 80, la medicina basata sulla sperimentazione, la cosiddetta EBM, “evidence based medicine” ha cominciato a separare la medicina dalla razionalità tecnica per cui ogni decisione medica doveva essere ormai giustificata da studi validati e rispettare i protocolli e le pratiche previste, pena il deferimento presso i tribunali competenti.
Tutto questo ha comportato una pletora di esami e testi inutili e dispendiosi, con la conseguenza del deficit sempre crescente dei sistemi di assicurazione e di sicurezza sociale e ha disciplinato ancor più l’esercizio della professione medica, fino ad escludere dalla pratica quelle decisioni che potevano rispondere ad una scelta terapeutica efficace se soltanto si fossero applicate al manifestarsi dei primi sintomi.
Proprio in questa scuola, tenuta per così dire al guinzaglio, sono stati formati i ricercatori odierni, confrontati non più ai pazienti, ma ai tabulati software, che oggi vengono in conflitto con i loro colleghi sessantenni, formati invece ad una scuola differente.
Quando la generazione dei medici più anziani sarà scomparsa allora l’intelligenza artificiale si sarà aggiunta all’EBM, la sperimentazione fredda e impersonale.
Alimenteremo così un algoritmo con il sesso, l’età del paziente, qualcuno dei suoi sintomi e due o tre risultati degli esami a cui è stato sottoposto e, senza lasciare niente ad un esercizio professionale che si è attenuto strettamente ai protocolli ed agli algoritmi di un sistema tecnologico, formuleremo un elenco di diagnosi valutate in una scala di probabilità insieme al tipo di intervento già previsto dall’intelligenza artificiale in ogni tipo di soluzione prospettata.
Il medico allora diventerà semplicemente l’esecutore dell’algoritmo, quasi un tecnico informatico. A questo punto finalmente sarà scomparso dai riflettori mediatici perché non avrà più niente da spiegare sui palcoscenici di giornali e televisione.
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