Calabria, quel magico Natale del ’94: quando Antonio Guidi risolse il caso del piccolo Anton Grigoriev

L'intervista ai protagonisti della vicenda

di Francesca Agostino

Erano i freddi (ma al contempo, calorosi) giorni a ridosso del Natale del 1994, e i vivaci occhi azzurri del piccolo Anton, il bimbo russo al centro di una controversa vicenda di affido internazionale, non videro materializzarsi, dai cieli del piccolo centro calabrese di Cittanova, Babbo Natale con la sua slitta, bensì qualcun’altro: era il Ministro Antonio Guidi, arrivato da Roma in elicottero, proprio per incontrarlo.

Il 29 dicembre 1994, l’AdnKronos annunciava: «Il piccolo Anton Grigoriev resterà in Calabria. Lo ha confermato il Ministro per la Famiglia». Era lui Anton, il bimbo russo di 9 anni, che da oltre un anno era stato affidato ad una splendida famiglia della graziosa cittadina calabrese di Cittanova, alle pendici dell’Aspromonte, e che aveva espresso il desiderio di rimanervi piuttosto che tornare a San Pietroburgo al decorso del periodo di affidamento temporaneo.

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L’intervento in prima persona di Antonio Guidi, allora Ministro per la Famiglia del primo Governo Berlusconi e oggi responsabile nazionale del dipartimento «Equità Sociale e Disabilità» di Fratelli d’Italia, consentì di superare alcune incertezze normative e definire stabilmente la controversa e delicatissima vicenda nel senso più favorevole alla tutela del bambino coinvolto, nonché, qualche tempo dopo, del fratellino, Maxim, anch’esso poi adottato stabilmente dalla calorosa e amorevole famiglia calabrese.

Oggi Anton è un uomo, ha 34 anni, si è laureato in Scienze filosofiche presso l’Ateneo Statale di Pavia, ha conseguito la laurea triennale in Scienze religiose a Milano, e vive tra Calabria e Lombardia. In un emozionante meeting virtuale, abbiamo ripercorso, 26 anni dopo, quella vicenda, intervistando entrambi i protagonisti delle cronache di quei giorni, con l’intento di raccontare quello che piace immaginare come «un lunghissimo lieto fine».

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Antonio Guidi, iniziamo da te: tu in quel momento eri il Ministro della famiglia nel primo Governo Berlusconi. Cosa ricordi di questa vicenda?

«Era la prima volta che veniva istituito il “Ministero della famiglia”, perché era l’anno mondiale della famiglia. Non voglio fare il “Ministro esemplare”, ma ho sempre cercato di avere un ruolo un po’ pedagogico, cioè cercare di dimostrare che un Ministro, oltre ad poter fare cose importanti, come lo sono gli atti normativi, gli interventi su manovre finanziarie, ecc., può fare anche cose “importantissime”, come porsi al servizio del cittadino singolo, soprattutto se bambino: perché in tal modo hai l’opportunità di dimostrare ai cittadini, che già allora avevano poca fiducia nella politica, che con il cuore e l’intelligenza, si possono fare cose meravigliose. E lo dimostra, dopo tanti anni, il viso di Anton, la sua gioia di vivere. Io ero, e sono, al servizio del cittadino. E noi dobbiamo tornare a essere molto più vicini alle persone, soprattutto quelle che rischiano fortemente. Vivo questo intervento di oggi con la grandissima ed enorme gioia di rivedere Anton, che, posso dire, di averlo “partorito” un pochino anche io».

Le condizioni erano veramente molto difficili: come decidesti di comportarti al riguardo?

«Avevo avuto notizia del problema di Anton, della sua voglia di amore e di amare, perché avevo dato al Ministero la priorità delle questioni inerenti all’infanzia e alla disabilità, e seppi di questo caso. Era molto complicato, e forse oggi sarebbe andato male perché magari per motivi di audience ci si sarebbe messi contro la Russia, contro l’Istituto, contro il Ministero, contro tutti. Io cercai, in un paio di giorni, di costruire un percorso, di non demonizzare la Russia, di non demonizzare l’Istituto, cui tra l’altro destinammo un grosso regalo, che meritava perché le angherie che ha subito Anton (e delle quali non voglio parlare), non provenivano dall’Istituto. Era un momento particolare perché la famiglia potenziale di Anton non aveva il differenziale di età giusto, anche se io ho sempre detto che non è certo l’età che deve essere di ostacolo all’amore. Era tra Natale e Capodanno, le istituzioni furono mobilitate, e io andai in Aspromonte. Cercai di usare la diplomazia non di un Ministro, ma di uno psichiatra, cioè quello che già facevo. E ce l’abbiamo fatta! Ricordo ancora di aver avuto la percezione che le cose potessero andar bene, col mio eterno ottimismo, a pranzo: proprio lì, a Cittanova, nella famiglia di Anton, un pranzo con una tavolata piena di cose buone da mangiare, ma soprattutto pieno d’amore. E ho visto il Viceambasciatore russo squagliarsi di fronte a questa famiglia meravigliosa, e la gioia di Anton, che mi trovai imbraccio… eri piccolo Anton, leggero, “figo” già allora… adesso lo sei di più! Quello che voglio dire è che nelle istituzioni, se uno vuole, può fare quasi tutto. Ma se ne deve fregare dell’audience, della pubblicità, dei voti, del collegio: deve parlare con intelligenza, perché le istituzioni vanno conosciute, ma soprattutto deve parlare col cuore. Se no, a fare il Ministro: ma che cavolo ci stai a fare?»

Anton, tu invece che cosa ti ricordi? Sicuramente avrai dei ricordi molto confusi, perché eri piccolo, e poi tutta quella gente, quella situazione così movimentata…

«Era intorno a mezzogiorno. In casa arrivarono un sacco di giornalisti, tra cui il dott. Pino Nano, che era l’allora direttore del TG3, e ci seguiva da quando, nel 1993, ero stato accolto dalla famiglia Naso Marvasi per venti giorni, in quanto ero uno di quei bambini che portavano in vacanza sulle coste calabresi. Si spalancarono le porte di casa e arrivarono i giornalisti, i carabinieri, il Sindaco, che era allora Francesco Morano, degli amici… e ad un certo punto sentii il rumore di un elicottero, che poi atterrò al campo sportivo di Cittanova. Guardai fuori e vidi la gente che attorno a me ripeteva “guarda, sta arrivando una persona molto importante, e viene per te!”, però io non riuscivo a capire chi fosse. A un certo punto, davanti casa, arrivarono dei carabinieri, la polizia, e vidi arrivare questo signore che scese dalla macchina, mentre i giornalisti gli andarono incontro per fargli alcune domande prima che entrasse in casa. Fu un grandissimo clamore, perché in una famiglia di docenti di scuola, che arrivi un Ministro, direttamente da Roma, non è da tutti i giorni! A un certo punto, dopo aver salutato tutti i presenti, ricordo che Antonio Guidi mi prese imbraccio, e i fotografi vollero scattare delle foto… poi ci accomodammo in salotto, e ci accomodammo per cercare di parlare un po’ della mia situazione, poiché ancora non era ben definito né chiaro il concetto se io dovessi rimanere o meno presso la famiglia calabrese cui ero stato affidato prima dal Comune. E poi alla fine, grazie all’intervento del Ministro Guidi, tutto si risolse nel migliore dei modi, per poter far sì che si potesse arrivare a quell’amore che anche tutti i cittanovesi speravano che culminasse in bene. Perché purtroppo all’epoca era anche la stessa politica a non disporre delle risorse, a non disporre neppure dei termini giuridici per potermi affidare definitivamente a famiglia calabrese che già aveva dei figli i cui i genitori erano al limite dell’età consentita per le adozioni. Non c’erano i termini legali per poter far sì che si potesse arrivare ad un’adozione concreta. Il Ministro intervenne personalmente: avrebbe potuto farlo anche a distanza, come un qualunque politico, come un qualunque Ministro. Avrebbe potuto mandare un telegramma, una lettera. Ma no! La cosa che suscitò scalpore e clamore fu proprio che il Ministro per la famiglia venne personalmente, per dire “Guarda che io non solo ti metto al corrente del fatto che sto facendo di tutto affinché tu possa realizzare il tuo sogno di rimanere presso una famiglia che ti ama, e che ti vuole bene. Ma io mi presento: metto la mia faccia!». E questo metterci la faccia, ma non solo di fronte alla telecamera, ma andando di persona a vedere una situazione con i propri occhi e cercare di metterci un punto, questo ha un significato profondo, che forse secondo me oggi la politica ha smarrito. E’ stato come voler dire: “la legge è fatta così, però io posso metterci quel qualcosa in più perché la giustizia di quella legge possa essere realizzata pienamente e concretamente“. Perché sappiamo che le leggi sono scritte, poi però perché vengano pienamente applicate, ne passa acqua sotto i ponti! E questo fu ciò che fece la differenza con il Ministro Guidi: lui andò per la legge e forse dovette anche calcare la mano perché questa legge, che ancor non era ben definita, consentisse un esito positivo nell’applicazione del caso di specie».

Anton, tu ti trovavi in Calabria da qualche tempo e provenivi da un istituto che si trovava in Russia. Ti ricordi qualcosa, di quel luogo?

«L’Istituto si trovava fuori da San Pietroburgo, in piena steppa, in mezzo al nulla. Una struttura piena di bambini, con delle donne che facevano da istitutrici. E avevamo come mezzo di trasporto, una specie di camionetta sgangherata, con la quale ogni tanto andavamo da qualche parte, ma non ricordo bene dove. Penso che ce ne fossero altri di questi istituti, in piena campagna. Infatti, dopo anni, mia mamma insieme a papà Bruno andarono di persona a prendere Maxim, mio fratello, in Russia, nel 1995, vollero veramente tastare personalmente con mano (insieme all’allora sindaco Francesco Morano, l’Arciprete del tempo, nonché l’organizzatore dei bambini), le condizioni reali di tutti questi bambini. Dunque fecero delle foto, delle interviste, e si resero conto della realtà che c’era lì dentro. Però, senza questi orfanotrofi, credo che io come molti altri bambini non avremmo avuto vita lunga. Era l’unica soluzione, anche perché era una Russia ancora sovietica, pertanto lì lo Stato decideva su tutto, anche sulle adozioni. Fino al 1995/1996 sembra che lo Stato pagasse anche il riscaldamento delle case pubbliche, oppure che non si potesse, banalmente, acquistare un elettrodomestico scegliendone la marca».

E cosa ricordi dei primi giorni in Italia, in Calabria? Quanto tempo impiegasti ad ambientarti, a percepire nuovi sapori, ad imparare una nuova lingua, completamente diversa dalla tua?

«Pensa che io non conoscevo il sugo. Non sapevo cosa fosse. Vedevo questa sostanza rossa sulla pasta e non riuscivo a capire di cosa si trattasse, anche perché oltre a non conoscere il sugo, non conoscevo neppure bene la pasta: in Russia non esistevano gli spaghetti italiani, ma solo una specie di poltiglia di pasta. Io non sopportavo la vista del sugo perché pensavo fosse sangue! Non potevo immaginare altro da bambino. Per la lingua impiegai un bel po’. Dovetti frequentare per molto tempo anche una specie di scuola privata per potermi mettere al passo degli altri compagnetti italiani. A Cittanova ho frequentato regolarmente la prima e la seconda elementare presso la Scuola elementare “Sant’Antonio”, poi fu una suora, Suor Maria, a prepararmi per essere ammesso alla quinta elementare. Le suore a Cittanova hanno fatto molto».

E ad un certo punto anche tuo fratello arrivò in Italia? Come andò?

«Dopo l’intervento del Ministro Guidi, che diede veramente una grandissima mano d’aiuto, si mossero anche molti altri personaggi, personalità di grosso calibro, tra cui il Questore della polizia di Stato di Reggio Calabria e anche il dirigente dell’Ufficio Stranieri, presso cui con i miei genitori mi recavo ogni sei mesi per verificare il mio stato di salute, per il quale avevo ottenuto il permesso di rimanere a Cittanova, perché al decorrere dei sei mesi sarei dovuto ritornare in Russia. Infatti i miei genitori vollero farmi visitare, presso l’Ospedale Militare di Catanzaro, da un pediatra che aveva svolto una missione in Russia, per esaminare ed accertare le reali condizioni di salute, in quanto ero molto cagionevole, magro e deperito, talmente carente di vitamine, da non avere neppure i capelli, né denti sufficientemente sviluppati per la mia età. Dunque anche l’accertamento delle mie condizioni sanitarie fu motivo oggettivo per prorogare la mia permanenza in Italia».

Antonio, cosa è stato a spingerti ad andare personalmente? E fu complesso organizzare e rendere effettiva questa operazione?

«Voglio fare una premessa: perché l’amore ti fa essere meno obiettivo… io non sono stato un bravo Ministro, nemmeno intelligente. Però, intanto avevo esperienza e competenza perché già da quindici anni conoscevo la macchina dello Stato, in tutte le sue diramazioni. Quindi, se partivo, partivo consapevole della macchina che dovevo guidare. Dunque non sono stato “bravo”, ho avuto la fortuna di avere esperienza precedente. Secondo me la competenza è fondamentale. Perché se no rischi di affondare sogni e bisogni di tante persone, oppure rischi di promettere e non mantenere. Io ero consapevole che nel caso di Anton, ma come in tantissimi casi, la presenza personale delle istituzioni muovesse di più di qualsiasi altra azione. E non l’ho fatto per i media, ma l’ho fatto perché era ed è “dovere”, soprattutto di chi ha più potere di muoversi, di testimoniare intanto anche a sé stessi, che se si vuole, si può. Io non sopporto i “culi di pietra”, quelli che dicono “la legge non permette” o “il bilancio non permette”… no. Quando ho saputo di Anton, non fu nulla di straordinario far sì che insieme ad alcuni dei miei collaboratori riuscissi a organizzare questa squadretta, che si è mossa ed è venuta in Aspromonte, in Calabria. Devo dire che certo, ci furono ulteriori suggestioni in più: intanto avevo visto le foto di Anton, e mi aveva proprio colpito questo bel ragazzino, che veniva dalla Russia… e poi erano i giorni tra Natale e Capodanno. Fu anche tutto questo ciò che mi emozionava di questa avventura, che continua ancora, perché io oggi rivedo Anton che oramai è un uomo e quindi quello che abbiamo seminato tutti insieme quel giorno continua. Quello che mi mosse quel giorno fu l’ottimismo di quella tavola, l’amore che avevano tutti, anche persone che erano abituate per lavoro ad essere piuttosto fredde o poco partecipi, si sono un po’ tutte sciolte: il calore della famiglia calabrese ha potuto molto più delle leggi, dei finanziamenti, della lentezza della burocrazia. Io dico che Anton è stato aiutato intanto dai genitori e dalla famiglia meravigliosa, ma soprattutto dal calore del Sud e dalla calabresità. Il miracolo lo hanno fatto loro, non io: io sono stato un portavoce, solo quello».

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