Correva l’anno 1768: i cugini transalpini, con il loro tentativo di francesizzare Napoli, erano ancora di là da venire, quando Ferdinando I stabilì che ogni comune del Regno delle Due Sicilie fosse dotato di una scuola gratuita, aperta sia ai maschi che alle femmine: obbligo che si estese anche agli istituti religiosi per essere poi ribadito dalla Commissione Suprema della Pubblica Istruzione che, nel 1818, confermando l’istituzione della scuola primaria gratuita, ne demandava l’onere del sostentamento ai singoli comuni. Tutto ciò, però, non fu sufficiente a far crescere la platea scolastica.
Anche allora nel Sud nessuno si preoccupò di controllare il controllore
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E questo, soprattutto, per 4 ragioni. La prima: la premessa è che evidentemente passano gli anni, tutto si trasforma, cambiano usi e costumi ma la politica, di piccolo o grande cabotaggio che sia, resta sempre uguale a se stessa e quindi, quando c’è da risparmiare, per preservare le spese clientelari taglia innanzitutto i fondi destinati al sociale e all’istruzione.
Ebbene, avveniva così anche allora: purtroppo, e anche qui niente è cambiato dagli anni dei Borbone ad oggi, il governo centrale, dopo aver fatto la legge, non si preoccupò più di tanto che gli altri la rispettassero. Il controllore c’era: l’intendente.
Ma nessuno si preoccupò che costui controllasse davvero e che si evitassero queste mancanze (e a pensarci bene, chiedersi “chi controlla il controllore” sarebbe stato di estrema attualità anche allora).
Nel 1.861 su 3.094 comuni del Sud solo 999 si erano dotati di scuola
E così, nel 1861, Luigi Settembrini, al termine di un’indagine sulla diffusione dell’obbligo scolastico nel Regno, rilevò che «su 3.094 comuni e borghi obbligati dalle leggi borboniche a provvedere all’istruzione popolare, ben 1.084 mancavano di ogni insegnamento, 920 mancavano di scuola femminile, 221 della maschile, così solo 999 erano i comuni e le borgate in regola con la legge. Gli alunni, maschi e femmine, erano appena 67.431».
La seconda ragione: erano gli anni in cui il fattore economico principale era rappresentato dall’agricoltura, sicchè i genitori-contadini si preoccupavano che i propri figli avessero buone braccia per zappare più che di educarne le menti alla riflessione. La terza: alla borghesia e agli intellettuali meridionali non interessava granché l’istruzione degli altri. Altrimenti, chi si sarebbe occupato dei mestieri bassi?
«Le popolazioni – scriveva Matteo Gualdi in un rapporto del 1817 – non devono essere composte tutte da scienziati, altrimenti le arti di prima necessità non verrebbero in alcun guisa esercitate e mancherebbe quella diversità di mestieri e di professioni che unisce gli uomini col vincolo de’ comuni bisogni, e costituisce l’ordine della società». La quarta e ultima ragione era la conseguenza della preoccupazione con la quale i cosiddetti “reazionari” temevano che cittadini più istruiti e consapevoli del propri diritti potessero rappresentare un rischio per l’ordine costituito.
Ad ogni modo l’ordinamento scolastico borbonico prevedeva una scuola elementare suddivisa in due corsi, entrambi biennali. Nel primo s’insegnava a leggere, a scrivere e a svolgere le quattro operazioni aritmetiche. Apprese le nozioni fondamentali, nel secondo, che era facoltativo, si leggevano testi semplici e di facile apprendimento e si sviluppavano nozioni di matematica. Concluso il ciclo di questi quattro anni, si accedeva alla scuola di secondo grado, l’odierna scuola media. Poi il terzo grado (gli odierni licei): nel 1859, in tutto il territorio del Regno si contavano 14 istituti con 233 cattedre). Infine l’Università.
Ma attorno alla Federico II a Napoli, fondata nel 1224, in Sicilia fiorirono le Università. Nel Sud, più studenti che in tutta l’Italia
Ma se, come abbiamo appena detto, era decisamente problematico il rapporto tra abitanti e istruzione obbligatoria di base, lo stesso non può dirsi per l’Università. Il Regno ne contava ben quattro. La prima, non solo per la qualità dell’istruzione ma anche per tradizione visto che era stata fondata nel 1224 da Federico II (del quale conserva ancora il nome), era quella di Napoli.
Poi vi erano gli atenei di Messina e Catania, rinnovati dai Borbone, e quello di Palermo, fondato direttamente da loro. Tutto questo mentre la prima università milanese, il Politecnico, era ancora “in mente dei” e sarebbe stata fondata solo nel 1863 ed avrebbe concesso la sua prima laurea soltanto nel 1870. Di più: il numero degli studenti universitari meridionali era decisamente maggiore (9.000 contro 7.000) di quello di tutte le università italiane messe insieme. Nel 1754 alla Federico II nasce la prima cattedra universitaria al mondo di Economia
E anche sul fronte universitario il Regno delle Due Sicilie, in particolare Napoli, mise a segno alcun primati assolutamente invidiabili: la città, infatti, istituendo ed affidando ad Antonio Genovesi nel 1754 la prima cattedra universitaria al mondo di Economia Politica, fu la culla degli studi universitari di questa materia.
A Napoli sorse la prima clinica di ortopedia dell’Italia preunitaria; qui c’erano i migliori ospedali militari dell’intera Europa (Fortunatamente per i sudditi del Regno delle Due Sicilie: mentre, malauguratamente per noi, quasi due secoli dopo sono arrivati amministratori della sanità come Antonio Bassolino, Rosalba Tufano o Angelo Montemarano).
Sempre a Napoli, o meglio nell’ospedale psichiatrico di Aversa, vennero tolti per la prima volta in Europa i cosiddetti “ceppi” ai malati di mente. E in farmacopea di grande importanza fu l’Orto Botanico nel quale erano coltivate le erbe mediche per la Facoltà di Medicina. Per quanto riguarda gli insegnamenti giuridici, nella facoltà napoletana di Giurisprudenza venne istituito e affidato nel 1774 a Gaetano Filangieri l’Istituto della Motivazione delle Sentenze: vennero inoltre redatti il primo Codice Marittimo Italiano ed il primo Codice Militare.
Tutto ciò, senza inoltre dimenticare che Salerno sin dal medioevo (XI secolo) era sede della Scuola Medica Salernitana, la prima e più significativa istituzione medica d’Europa, considerata l’antesignana delle moderne Università. Non a caso Salerno è, ancora oggi, nota in tutto il mondo come la Patria della Scienza medica.
1801 a Palermo, Piazzi scopre l’asteroide “Cecere Ferdinandea”
Sempre nella capitale dei Borbone, e anche in questo Napoli fu capofila nel mondo, nacque, grazie all’impegno del fisico Macedonio Melloni e poi di Luigi Palmieri, l’Osservatorio Sismologico Vesuviano, completo di stazione meteorologica. A Palermo, invece, nel 1801 l’astronomo Giuseppe Piazzi, curatore dell’Osservatorio Astronomico, scopriva l’asteroide “Cerere Ferdinandea“: la struttura si aggiungeva alle altre eccellenze della città, rappresentate dall’Orto Botanico e dalla “Real casa dei matti”, il primo manicomio europeo realizzato dal Barone Pisani con il patrocinio della Casa Regnante. Qui i malati di mente vivevano separati dagli altri ed erano trattati da esseri umani e non da bestie.
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