Lo sport fa politica, il grande circo del calcio riparte e cerca di valorizzare i campionati femminili

di Eugenio Preta

Tra paure, confinamento anti-epidemia e grande crisi finanziaria dei ricavi è ricominciato il grande circo del football, il settore più commerciale e di maggior consumo tra tutti gli sport.

Per il posto che occupa nelle nostre vite, lo sport è diventato oggi una componente importante della nostra identità e della nostra civiltà ed a questo titolo che, (come tutti gli altri settori dello spazio culturale europeo, il cinema, la musica), viene inondato dai messaggi di importazione anglo-sassone che si abbattono sul mondo continentale attraverso la pressione mediatica che spesso fa da apri-pista ai risvolti legislativi implicitamente suggeriti.

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Oggi, in epoca di parità di tutto, anche il calcio si è adattato a un mercato foriero di redditi e ricavi e si è impegnato a valorizzare i campionati femminili di calcio che, in tutti i continenti ormai accendono gli interessi di media e spettatori.

Un mondo che oggi si trova però preda di opportunisti patentati come la politica, i media, i commentatori e le folle di utili idioti che accorrono per assicurare il servizio post-vendita del prodotto e, subliminalmente celebrare la fine del monopolio maschile in quello che è sempre stato lo sport principe, suo terreno d’adozione.

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Anche le televisioni, in occasione delle varie cerimonie concepite per la premiazione di palloni e pantofole d’oro, organizzano non-stop infiniti dove il calcio (o lo sport in oggetto, nuoto, moto/automobilismo, sci), viene relegato in subordine dietro messaggi pubblicitari e discorsi sull’attualità del momento che non hanno niente a che vedere con la cerimonia sportiva.

Nel corso dell’estate, l’ondata Black Lives Matter si è abbattuta sul mondo dello sport, già in apnea a causa dell’epidemia Covid e la cancellazione di avvenimenti importanti. Per mesi interi siamo stati invitati a partecipare, lamentarci e subire i minuti di silenzio prima degli incontri, della celebrazione dei gol, rigorosamente in ginocchio, (in Inghilterra è ormai prassi consolidata da celebrarsi all’inizio di ogni match) e ascoltare le filippiche contro il pessimo Trump di sociologhi del livello di Littizzetto, Fazio e Formigli.

Questa isteria mediatica della genuflessione si accompagna spesso alle iniziative istituzionali europee previste per lottare contro l’omofobia, prevedendo persino di sospendere gli incontri in caso di manifestazioni omofobe.

Se i condizionamenti del politicamente corretto hanno trovato zolle fertili nel terreno del football, l’oppio del XXI secolo, è stato soprattutto perché il calcio è un pilastro dello spazio sociale e culturale dei maschi europei e, come succede ai giovani con Netflix, costituisce un metodo di iniezione endovenosa attraverso il quale si iniettano, nel sangue del paziente, dosi subliminali di ideologie correnti diverse, come femminismo, egualitarismo, antirazzismo e multiculturalismo

Così il fruitore ultimo del prodotto viene costretto a condividere le nuove crociate transnazionali se non vuole subire le conseguenze del suo allontanamento dalle reti tecnologiche che utilizza, una sua ineluttabile esclusione sociale, sorte promessa a tutti i refrattari ed ai cosiddetti propagatori di odio che rifiutano di annullarsi nelle imposizioni neo-liberiste degli architetti del nuovo mondo globalizzato.

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