Cinquanta sfumature di…noia. E’ lo spettacolo che è andato in scena ieri nell’Aula del Senato con protagonista il premier Giuseppe Conte, il quale si è presentato davanti ai senatori per spiegare, dopo averlo firmato, il Dpcm di domenica scorsa che ha impresso una prima stretta alle misure anti-Covid.
Noia perché alla fine è stata semplicemente una replica stanca, a tratti svogliata e anche un po’ vuota della conferenza stampa che dal cortile di Palazzo Chigi nella serata di domenica aveva tenuto lo stesso Conte. In alcuni punti è sembrato che ripetesse le stesse parole usate quella sera, anche se allora aveva una verve di gran lunga superiore a ieri.
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E che non si sarebbe trattato di un appuntamento da ricordare era chiaro anche ai senatori, tanto che i big (vedi Salvini e Renzi) si sono tenuti alla larga. Ad eccezione della capogruppo di Forza Italia, Anna Maria Bernini, del vicepresidente del Senato, Ignazio La Russa, e di Pierferdinando Casini, che per la verità non disdegna mai di parlare soprattutto quando c’è la diretta televisiva, a prendere la parola si sono alternati senatori di seconda o terza fascia. Segno evidente che l’appuntamento non era tra i più attesi.
Il che però non è un buon segnale per la democrazia, visto che il Parlamento rappresenta il luogo più importante della vita del Paese e il confronto al suo interno il momento più alto di democrazia che vi possa essere. Ma tutto ciò è anche la diretta conseguenza di una politica e di decisioni che privilegiano i social e i like, lasciando al Parlamento un ruolo secondario. Probabilmente se Conte avesse deciso di parlare alle Camere prima di varare il provvedimento ci sarebbe stata ben altra accoglienza.
Conte: «Urgenza e aggravamento della situazione non hanno permesso di illustrare prima il Dpcm»
Ma tant’è, questo oggi passa la democrazia. Dal canto suo però Conte si è giustificato, spiegando che a causa «dell’urgenza e del repentino aggravamento della situazione, non è stato purtroppo possibile illustrare in via preventiva in Parlamento lo schema del provvedimento». Ha anche ribadito che l’Italia oggi si trova in migliori condizioni rispetto allo scorso marzo e che in questi mesi «non è mai stata abbassata la guardia».
Ha rivendicato i «20 milioni di mascherine chirurgiche al giorno» e il fatto «di distribuire gratuitamente giornalmente una mascherina chirurgica per ogni studente». Tutte cose già dette domenica. Ma soprattutto ha ammesso di aver «investito miliardi di euro su trasporti, scuole, università, uffici pubblici, per garantire condizioni di sicurezza nei luoghi di lavoro e di studio, adottando protocolli che tutelino studenti e lavoratori e li pongano in grado di proseguire nelle ordinarie attività».
Conte pronto a raccogliere suggerimenti e istanze delle opposizioni
E per concludere, mano tesa all’opposizione, spiegando di essere pronto «a raccogliere tutti i suggerimenti e le istanze che scaturiranno dagli interventi che seguiranno, oggi al Senato e domani alla Camera dei deputati, riferendone tempestivamente ai ministri. Il governo continuerà a dialogare in spirito di leale collaborazione anche e in particolare con i rappresentanti delle Regioni e degli enti locali».
Come detto, però, un intervento stanco dove a tratti è sembrato che anche lo stesso Conte non stesse credendo nelle cose che diceva, anzi che leggeva. Probabilmente rapito da altri problemi. Uno su tutti l’efficacia delle disposizioni appena varate. Infatti, è circolata ieri la notizia che il governo si preparerebbe già per questo sabato, o al massimo entro il week end, a varare un nuovo Dpcm più restrittivo. Notizia che in parte è stata smentita da Palazzo Chigi in giornata, spiegando che al momento non sono previste nuove misure ma che questo non esclude che siano prese in futuro.
Il vero problema, che starebbe dividendo governo e maggioranza, sarebbe il coprifuoco che il Pd vorrebbe inserire a livello nazionale, probabilmente dalle 22 fino alle 5 del mattino, ma su cui Conte sarebbe al momento restio. Così come sarebbe contrario a prevedere ulteriori misure più stringenti e ulteriori chiusure. Peccato che il tempo non sia alleato del governo e soprattutto il governo debba guardarsi dall’attivismo delle Regioni.
Infatti, non più soltanto Lombardia e Campania hanno deciso per il coprifuoco ma anche il Lazio si è orientato in tal senso fissandolo nella fascia 24-05 a partire da domani. Il timore, quindi, che serpeggia a Palazzo Chigi è che l’attivismo delle Regioni, da un lato, e, dall’altro, l’immobilismo del governo possa produrre confusione e perciò peggiorare la situazione.
Per questa ragione dal ministero delle Autonomie hanno fatto filtrare la notizia che «il governo è al lavoro ad un protocollo sulle linee guida che fissino le regole comuni da seguire per le misure contenute nelle varie strette anti-contagio decise da ogni singola Regione. Il documento stabilisce dei criteri generali che servono a coordinare i territori, in accordo con il governo stesso». Insomma, un modo per dire che il governo ha la situazione sotto controllo.
Dal fronte delle opposizioni non si risparmiano critiche al premier Conte e ai suoi ministri. Giorgia Meloni punta il dito contro i ritardi e l’impreparazione nella gestione della seconda ondata: «Era da giugno che ci dicevano che sarebbe arrivata la seconda ondata, abbiamo per questo votato a settembre e non a ottobre. Se si sapeva, perché non hanno fatto nulla per non renderla peggiore della precedente? Il governo fa molta confusione, volutamente, anche sull’andamento della curva, sapere dei positivi non in relazione agli altri dati non significa niente. Io mi sarei concentrata sul rafforzamento delle terapie intensive, sul migliore utilizzo degli spazi esterni delle scuole e sui trasporti, che rappresentano la mancanza più grave».
E sulla stessa linea anche Matteo Salvini: «Vi pare normale che ci sia un governo che ha passato l’estate a occuparsi di monopattini elettrici, di banchi con le rotelle, e arriviamo a fine ottobre per accorgerci che non ci sono terapie intensive in più, che non ci sono autobus in più? Non è colpa dei medici e dei virologi, non è colpa delle opposizioni. Mi piacerebbe che qualcuno ci venisse a raccontare cosa ha fatto negli ultimi sei mesi, visto che la seconda ondata era sulla bocca di tutti».
Oggi alla 10 Conte sarà alla Camera per chiudere il giro di comunicazioni iniziato ieri in Senato, ma la testa sarà senza dubbio ad altro. Al possibile nuovo Dpcm e soprattutto ad evitare fughe in avanti delle Regioni, le quali a loro volta giustamente non ci stanno a rimanere con il cerino in mano. Come abbiamo scritto ieri se Conte non ha intenzione di attivare misure drastiche, pena il dover ammettere il proprio fallimento nella preparazione alla seconda andata, dal canto loro i governatori non hanno intenzione di assistere all’impennata dei contagi e alla saturazione delle terapie intensive. Un rimpallo di scelte e decisioni di cui, come sempre, rischiano di rimanerne vittime gli italiani.
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