Il Pd lancia il piano per le riforme. Ma è soltanto un salvagente per arrivare alla fine della Legislatura

di Dario Caselli

Chiamatelo salvagente o scialuppa di salvataggio. L’importante è arrivare fino alla riva, o meglio alla fine della Legislatura o almeno all’elezione del presidente della Repubblica. E questo perché da qui a quell’epoca bisognerà dire qualcosa all’opinione pubblica, riempire i giornali e raccontare che si è aperta la stagione delle riforme. L’ennesima.

Ai cittadini bisognerà dire che si va avanti perché si stanno facendo le riforme, che serviranno per rendere l’Italia migliore, una Nazione al passo con quelle europee ponendo finalmente questi stessi cittadini al centro del sistema.

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E questo processo riformista servirà al Pd per giustificare quel Sì al referendum, che in fin dei conti è stato decisivo per la vittoria. E sarà utile anche al M5S che, non solo eviterà il pericolo delle urne ma potrà anche raccontare al suo elettorato, sempre più minuto, che un altro passo è stato compiuto nello scardinamento del vecchio sistema e nella realizzazione di un Paese nuovo e diverso.

C’è tutto questo dietro lo slancio riformista del Pd, che proprio ieri nella sede del Nazareno ha presentato il progetto di riforma. Un disegno di legge che punta a modificare alcuni aspetti del nostro sistema costituzionale, a partire dal bicameralismo perfetto. Non siamo alla creazione di un Senato delle Regioni, quanto piuttosto a una suddivisione di ruoli: la Camera più politica mentre il Senato più di inchiesta.

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Ma soprattutto con il taglio del numero dei parlamentari più spazio al Parlamento in seduta comune per votare la fiducia al governo, nonché i decreti, la Legge di Bilancio, le ratifiche di trattati internazionali. Progetto di riforma che lo stesso Nicola Zingaretti aveva evocato già ad urne ancora calde e che nei desiderata del Pd dovrebbe incrociare le altre riforme sul tappeto, da quella per il voto ai 18enni per il Senato, all’elezione dei senatori su base nazionale e non più regionale.

Zingaretti

Pd avvia stagione riforme: «Aprire un nuovo fronte riformatore»

«Il Pd, ha spiegato Zingaretti, si assume la responsabilità di aprire un nuovo fronte riformatore, come avevamo detto sostenendo il Sì al referendum. E’ possibile costruire un Paese nuovo che risponda a questa voglia di riscatto presente tra le persone. Oggi apriamo il cantiere istituzionale. Vorremmo aprire una fase nuova nella vita politico-istituzionale del Paese».

In realtà la situazione è più complessa di quello che pensa Zingaretti e basta qualche ora per capire che la maggioranza è ben lontana dall’avviare l’auspicato cantiere istituzionale. Il M5S, ad esempio punta il dito contro il metodo del Pd di andare avanti da solo, senza condividere il percorso riformista. «Per dare ulteriore impulso alle riforme costituzionali non servono annunci di parte, occorre confronto e condivisione», replica a Zingaretti il capogruppo alla Camera dei Cinquestelle, Davide Crippa.

Ma è sulla legge elettorale che si misura la distanza nella maggioranza, con un Pd che considera la soglia del 5 per cento «irrinunciabile» e Leu che critica Zingaretti per avere «una strana idea della condivisione». E Renzi? In silenzio, lascia parlare Maria Elena Boschi la quale non pone veti sulla soglia di sbarramento ma chiede che prima si facciano le riforme tra cui sfiducia costruttiva e superamento del bicameralismo perfetto. Insomma, della serie come dire no prendendola alla larga.

Tutto ciò però dà il senso della confusione e di come nella maggioranza e nel governo si navighi a vista senza una vera condivisione di fondo dei progetti e degli obiettivi. Come sia possibile andare avanti fino a fine legislatura o fino all’elezione del presidente della Repubblica è difficile immaginarlo. Serve un salvagente, o appunto una scialuppa di salvataggio, ma non è detto che basti questo per arrivare a riva.

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