Alla fine della ideologie ci siamo gettati nell’infatuazione europeistica più acritica, anche perché ci trovavamo l’alibi giusto al disinteresse nei confronti di una dimensione nazionale giudicata ormai retaggio di un passato totalitario. Una sorta di inutile ectoplasma.
Abbiamo persino accettato la rinuncia della sovranità in ambiti delicatissimi come la fabbricazione della nostra moneta e la formazione delle leggi e per apparire gli alunni esemplari dell’Europa siamo stati capaci nel 2001 persino di modificare la nostra Costituzione (pochi Stati europei lo hanno fatto) con una nuova versione dell’articolo 117, che sottomette la potestà legislativa al rispetto, oltre che come ovvio della Costituzione stessa, anche «dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario». Il primato del diritto comunitario sul diritto nazionale…
Così il tema della Nazione è stato espulso dalla cultura ufficiale del Paese, ignorato dal circuito dei media, ma soprattutto dal comparto della formazione scolastica, non è stato più elemento costitutivo del modo d’essere e di pensare dei cittadini vecchi e nuovi.
Ma che cosa ha veramente rappresentato l’idea di stato-nazione? Qual è stata la sua reale portata storica, e quali sono state le conseguenze positive di quell’idea?
Senza lo Stato-Nazione non ci sarebbe stata la democrazia moderna, la libertà religiosa, le folle di esclusi trasformate in cittadini, le elezioni a suffragio universale; non ci sarebbe stata la scuola obbligatoria e l’alfabetizzazione di massa, il Welfare e la sanità pubblica.
Senza lo Stato-Nazione non ci sarebbe stato neppure l’Italia, uno Stato oggi scalcagnato e pieno di magagne ma grazie al quale, bene o male, un popolo di decine di milioni di persone ha visto la propria vita migliorare, cambiare in misura inimmaginabile.
Oggi viviamo senza autodifesa l’inganno del progetto europeistico a cui va opposta prima di ogni altra cosa, in tutta la sua forza storica, la cultura della nazione democratica, dello Stato sovrano…
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