A legare le sorti di questa famiglia di origini spagnole all’Italia del Sud era stato il Re Pietro III che, avendo sposato Costanza figlia di Manfredi, per rivendicarne l’eredità sostenne la rivolta dei siciliani contro gli Angiò. E quando il parlamento dell’isola, nel giugno del 1282, gli offrì la corona, immediatamente sbarcò a Trapani alla testa di un esercito non troppo numeroso, ma decisamente battagliero, e fu accolto da un popolo acclamante.
Il Papa Martino IV provò a fermarlo con la scomunica e, temendo una ripresa dell’attività del partito ghibellino, dal momento che Pietro era un discendente degli Hohenstaufen, promosse addirittura una crociata contro di lui.
Indice Articolo
- Pietro III seppe accrescere la stima e la fiducia dei sudditi nei suoi confronti
- Salito al trono Pietro II continuò a combattere gli Angiò, ma distrusse i bilanci dello Stato del Sud
- Si crearono due fazioni: l’una con la dinastia incarica e l’altra quelli stanchi della guerra e disponibili all’unità con l’Italia del Sud
Pietro morì nel 1285, quando la guerra voluta dalla Stato Pontificio contro di lui non era ancora terminata, e in Sicilia gli successe il figlio Giacomo, mentre in Aragona il suo posto fu preso dall’altro rampollo Alfonso III che, però, a sua volta, morì nel 1291. A quel punto Giacomo poté sedersi, oltre che sul trono di Sicilia, anche su quello aragonese.
Per quanto battagliero, Giacomo si dimostrò sovrano abbastanza prudente e, anziché continuare a seminare di cadaveri il selciato dell’isola, cercò costantemente di arrivare ad una soluzione pacifica del conflitto. Finché, nel 1295, accettò il trattato di Anagni che prevedeva la cessione della Sicilia allo Stato Pontificio, in cambio del Regno di Sardegna e Corsica nonché della revoca della scomunica e dell’interdetto nei confronti degli Aragona.
Il patto avrebbe dovuto essere solennizzato dalle nozze fra Giacomo e Bianca d’Angiò. Di questo accordo, però, nessuno si preoccupò di avvisare colui che, come luogotenente di Giacomo, aveva governato la Sicilia in quegli anni, ovvero Federico, terzogenito di Pietro III. Il quale, oltretutto, lo aveva fatto talmente bene da guadagnarsi le simpatie degli isolani, che, quando nel 1296 il fratello, in seguito all’accordo di Anagni, gli revocò la luogotenenza, lo elessero Re di Sicilia.
Pietro III seppe accrescere la stima e la fiducia dei sudditi nei suoi confronti
Da sovrano a pieno titolo, Pietro III seppe moltiplicare ed accrescere ulteriormente la stima e la fiducia dei sudditi nei suoi confronti. Di idee liberali, fu sempre rispettoso della libertà e dei diritti della propria gente. Consentì al Parlamento di riunirsi con regolarità, almeno una volta l’anno, attribuendogli, inoltre, il potere di controllo sull’attività dei funzionari, rispettandone le scelte e senza farsi alcuno scrupolo nell’allontanare dal proprio posto i burocrati giudicati infedeli e corrotti.
Il che contribuì ad accrescere ulteriormente la stima ed il rispetto dei siciliani nei suoi confronti. E, poiché consapevole del proprio ascendente sugli abitanti dell’isola, quando fu invitato dal Papa a lasciare la Sicilia, rifiutò energicamente. E continuò la guerra: ma stavolta dovette fare a meno dell’appoggio del fratello, della moglie e di Ruggero di Lauria i quali, anzi, gli si schierarono contro. La presenza del fratello fra le schiere avversarie rese a Federico ancor più pesanti e drammatiche le vicende di una guerra che si trascinò a lungo con alterna fortuna.
La contesa sembrò arrivare ad una svolta quando, in pieno agosto 1302, fra i contendenti fu sottoscritto il trattato di Castelbellotta. Accordo con il quale venne riconosciuto a Federico il possesso della Sicilia, che lui avrebbe governata con il titolo di Re di Trinacria fino alla sua morte, ma che gli imponeva di rinunciare alla corona ufficiale dell’isola, statuendo che al momento della sua scomparsa il possesso dell’isola ed il titolo di Re di Sicilia ritornassero nelle disponibilità della famiglia d’Angiò. Ma tali clausole non trovarono in Federico un osservatore ossequioso e granché attento. Anzi, egli cominciò immediatamente a svuotarle di ogni valore.
Si mosse sul piano diplomatico con grandi capacità e, dopo essersi, a capo di qualche anno, reimpadronito del titolo di Re di Sicilia, cominciò ad adoperarsi per cercare di assicurare al figlio Pietro la successione al trono. Al punto che, quando nel 1311 l’imperatore Enrico VII decise di scendere in Italia del Sud, lui non mostrò alcuna titubanza a schierarsi al suo fianco, in funzione antiangioina. Organizzò allora meticolosamente una spedizione, garantendosi nel 1312 l’approvazione del Parlamento alle sue iniziative, e, infine, diede il via trionfalmente alle operazioni di guerra in Calabria.
La morte dell’imperatore, però, lo colse di sorpresa, costringendolo a bloccare la nuova avventura. Federico, però, non si perse d’animo e non mostrò alcuna preoccupazione neanche quando Roberto d’Angiò cominciò a prepararsi allo sbarco in Sicilia per conquistare l’isola.
Prima, nel 1314, ottenne dal Parlamento siciliano la proclamazione a suo successore del figlio Pietro, poi ricominciò a battersi contro il suo rivale. Anche questa fu, comunque, una guerra durissima e decisamente infruttuosa, che durò fino alla morte di Federico, arrivata nel giugno del 1337. Durante questi 23 anni, Roberto cercò per ben sette volte d’invadere l’isola ed altrettante volte Federico provò a sbarcare sulle coste della penisola, ma sia i tentativi dell’uno, come quelli dell’altro sfociarono nel nulla. L’unico risultato effettivo ottenuto dal protrarsi della guerra fu quello d’impoverire la Sicilia, mettendone in ginocchio l’economia. Non a caso, quando il fratello Giacomo decise di organizzare una spedizione per conquistare la Sardegna, non poté che parteciparvi in maniera assolutamente virtuale.
Salito al trono Pietro II continuò a combattere gli Angiò, ma distrusse i bilanci dello Stato del Sud
Alla sua morte a succedergli sul trono siciliano – come aveva stabilito il Parlamento nel 1314 – fu il figlio Pietro II che continuò a combattere contro gli Angiò, con l’unico effetto di distruggere definitivamente i bilanci dello Stato. Così la sua autorevolezza andò sempre più affievolendosi agli occhi dei baroni che cominciarono a battersi fra loro, utilizzando – secondo le cronache dell’epoca, tramandateci dal monaco Michele Plaza – squadre di mercenari che misero in forse la sicurezza dei cittadini, scatenando sull’isola un clima d’inaudita violenza. Morì nel 1342.
Fra i due figli che gli sopravvissero, Ludovico e Federico IV, a succedergli fu il primo che, purtroppo, si trovò invischiato in una situazione d’estrema difficoltà, causa il malcontento della gente per il perdurare del conflitto. Di più, in conseguenza della giovane età dell’erede al trono, ad assumersi il compito di governare fu il maestro giustiziere Blasco Alagòn che presto entrò in conflitto con la regina madre e vedova, rendendo così ancora più pesante il clima ed irrespirabile l’aria dell’isola.
Si crearono due fazioni: l’una con la dinastia incarica e l’altra quelli stanchi della guerra e disponibili all’unità con l’Italia del Sud
Ricominciarono le rivolte baronali. Da una parte quelli che si schierarono con la dinastia in carica e per questo furono indicati come i catalani; dall’altra quelli ormai stanchi della guerra e disponibili alle suggestioni degli Angiò e che, per questa ragione, vennero definiti come gli italiani.
Colpito dalla peste, Ludovico uscì di scena nel 1355 e, non avendo figli, lasciò il trono al fratello Federico IV, in quel momento appena quattordicenne e per di più psicologicamente labile. Le rivolte aumentarono d’intensità, l’anarchia divenne una costante, precipitando l’isola in una clima di assoluta ingovernabilità, e i feudatari del partito italiano invitarono Giovanna, regina di Napoli, ad assumere il trono di Sicilia. Questa, insieme al marito, entrò a Messina nel 1356, rimanendovi fino al 1357, quando sconfitta a Catania, fu costretta a tornarsene a casa.
Federico, intanto, divenuto maggiorenne, tentò disperatamente di ridurre alla ragione i baroni. Ma non ci riuscì: morì con ogni probabilità avvelenato da Artale Alagòn nel 1377. Lasciò una figlia, cui, però, Pietro IV d’Aragona non riconobbe il diritto alla successione, trasferendolo al figlio Martino. La guerra civile non si arrestò. La ragazza, dopo essere stata trasferita in Spagna, si vide imposto il matrimonio con il principe Martino d’Aragona, figlio del duca Martino, che si era visto attribuire da Pietro IV il diritto di successione: nozze che furono celebrate nel 1391.
Martino e Maria rientrarono a Palermo nel 1392 e il principe venne incoronato re di Sicilia, mentre la guerra civile continuava ad interferire con la quotidianità dei siciliani. Maria morì nel 1402 ed il trono della Sicilia venne unificato a quello d’Aragona. Da parte sua, il marito morì venti giorni dopo aver portato vittoriosamente a termine la conquista della Sardegna nel 1409.
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