La crisi epidemica metafora impietosa della fine di una classe politica

di Eugenio Preta

Quando questa crisi epidemica potrà finalmente essere archiviata, arriverà il momento di valutare i danni causati dall’irresponsabilità dei governanti e puntare il dito non soltanto sugli attuali dirigenti, ma su tutto il sistema politico che li ha generati. L’inettitudine dimostrata dal potere non lascia più spazio ai commenti: se governare significa prevedere e se essere responsabile significa identificare le decisioni più appropriate, allora è chiaro che non ci sono governanti, né responsabili degni di questo nome. Passata la tempesta resteranno solo i cadaveri di politici inqualificabili.

Ci troviamo oggi, ad affrontare un problema più profondo che pone due interrogativi: in che modo la nostra società ha affidato la responsabilità della cosa pubblica a simili incompetenti e che cosa, a questo punto, dobbiamo cambiare per poter rimediare. La società contemporanea si sviluppa, tra l’altro, su un doppio binario: l’autonomia della volontà personale (che rende ogni individuo padrone della sua propria esistenza ) e il progresso incalzante (che gli concede i mezzi per esercitare questa sua autonomia).

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Una rete di bisogni e di esigenze che trova quotidianamente soddisfazione attraverso la ‘struttura’ di leggi e di politiche economiche, sociali e sanitarie che sono i supporti di questo progresso. Questa la teoria. A livello pratico però, la narrazione sociale è stata interrotta da una crisi epidemica virulenta che ha bloccato il mito dell’eterno progresso. L’uomo contemporaneo, convinto di aver vinto le maledizioni del passato – guerre, fame ed epidemie – si è trovato improvvisamente a dover affrontare una situazione che non è riuscito a dominare.

In questa società liberalista avanzata che si vorrebbe generalizzare a tutto il pianeta, in questo mondo multipolare aperto e tollerante, l’uomo si è accorto improvvisamente di venire attaccato a poco a poco da un micro organismo che la scienza non riesce a decifrare, e nemmeno a curare correttamente, a causa della mancanza delle necessarie prevenzioni e per l’indisponibilità dei rimedi. E’ per questo l’essere umano deve oggi restare confinato nei suoi appartamenti, perché quel progresso incalzante ha dimostrato il suo limite proprio nel momento in cui invece avrebbe dovuto provvedere e prevenire.

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L’umanita è così costretta a vivere in isolamento perché l’altro, il vicino, l’immigrato, il forestiero, potrebbe essere il portatore potenziale di un pericolo. A questo punto la vecchia frontiera, messa anticipatamente in soffitta dal mondialismo imperante, è diventata un bene rifugio ed è tornata ad essere protettrice e rassicurante.

La mondializzazione che si voleva inarrestabile, ha svelato la sua vera natura. Le nostre fabbriche sono impossibilitate ad avviare la produzione urgente di pochi centimetri quadrati di tessuto protettore; i comparti sanitari non riescono a produrre test clinici per consentire la circolazione di informazioni scientifiche e di quantità sufficienti di medicinali; sono incapaci di decidere semplicemente se un trattamento, che sembra rivelarsi efficace, per battere una crisi epidemica possa essere messo in produzione senza attendere il permesso della tecnocrazia, qualunque sia il rischio che possa implicare la scelta.

Il mito della crescita permanente si è interrotto improvvisamente, l’indebitamento ha raggiunto cifre inimmaginabili, la disoccupazione è esplosa, l’inflazione è ritornata, i consumi sono precipitati ed un intero mondo è scomparso con lo smarrimento di una società che ha perso i riferimenti artificiali che essa stessa aveva creato. Gente distratta che non ha tenuto conto che i ponti che cadono e le cattedrali che bruciano, sono la metafora stessa di un progresso che non abbiamo saputo governare e oggi sono il segnale che ci ammonisce che niente dura per sempre.

Tornando alle domande iniziali, ci accorgiamo così, che la crisi di questa nostra democrazia è diventata sinonimo del tramonto di un mito: quello del progresso incondizionato, ma anche delle politiche liberaliste e multipolari in cui si è articolato. Ormai prendono sempre più rilevanza soltanto le realtà vicine al territorio, gli Stati nazione e le Piccole Patrie, che ritorneranno sovrane, non più ridotte a corollari di insiemi senza valori.

Con l’insorgere della crisi epidemica incontrollata è morto il regime tecnocratico-liberista e con esso il mito edonista del progresso inarrestabile e del benessere ininterrotto, simboli ormai dismessi di un mondialismo multicolore senza valori né più futuro.

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