Conte avverte i ministri: «Sulla scuola tutti responsabili». Ma Zingaretti lancia l’allarme sulle regionali: «Voto importante per scenari futuri»

di Dario Caselli

Ultimi giorni di vacanze e poi la politica avrà riaperto ufficialmente i battenti della nuova stagione. Non che in queste due settimane siano mancate le notizie e l’attività, a cominciare dal caso del bonus furbetti (ah proposito, ma come è finito questo scandalo?). E poi anche il mancato accordo tra Pd e M5S per le regionali, con lo stesso premier Conte che si è speso in prima persona. E senza dimenticare, appunto, il voto delle amministrative del prossimo 20 e 21 settembre, con annesso referendum, che ha imposto alla campagna elettorale di non fermarsi.

Ciononostante, la politica, soprattutto quella parlamentare ha tirato il fiato. In verità, il Senato è già tornato a lavorare da ieri (le Commissioni, s’intende) visto che è in corso l’esame del dl Semplificazioni e di quello Agosto. Per la prossima settimana, esattamente martedì è prevista la riunione d’Aula, è presumibile che già per il primo decreto ci sarà il via libera con l’immancabile voto di fiducia.

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Per quello Agosto, che contiene le nuove misure a sostegno dell’economia grazie agli ennesimi 25 miliardi di debito, se ne riparlerà probabilmente la settimana successiva, visto che dal 15 il Parlamento dovrebbe tornare ad essere nuovamente chiuso per dare spazio agli ultimi giorni di campagna elettorale.

Senza dubbio non sarà facile l’esame del dl Semplificazioni, che prima della pausa estiva era stavo letteralmente sommerso da una valanga di emendamenti, quasi 3mila, e in buona parte della maggioranza. Nelle due Commissioni di merito, Affari Costituzionali e Trasporti, ora si è alle prese proprio con l’esame degli emendamenti e le riformulazioni di quelli giudicati inammissibili. Un lavoro difficile che come detto dovrà terminare in tempo per consentire la prossima settimana il varo del provvedimento.

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Giuseppe Conte

Ferma, per il momento, la Camera che attende l’evolversi dei lavori al Senato. Invece, a lavoro il governo che a Palazzo Chigi ha tenuto una riunione per fare il punto della situazione sulla riapertura delle scuole. Insieme al premier Giuseppe Conte i ministri immediatamente coinvolti dalla riapertura: Azzolina (Istruzione), De Micheli (Trasporti), Boccia (Affari regionali) e Speranza (Salute). Si è poi aggiunto anche il Capo della Protezione civile Borrelli. Conte è molto preoccupato, teme di arrivare impreparato a quello che viene considerato l’appuntamento principale e sa che su questo non sono ammessi fallimenti.

L’aumento dei contagi, complice proprio la bella stagione, ha alzato l’asticella dell’attenzione nel governo che teme, peraltro, che la riapertura delle scuole possa dare un’ulteriore impennata ai numeri dell’epidemia. Anche se la situazione è sotto controllo è evidente la preoccupazione di Conte, per questo c’è la necessità di definire il piano della ripartenza scolastica nei minimi dettagli. Piano che per il momento ancora manca.

Conte: «La responsabilità sulla scuola è di tutti»

Inoltre, il fatto che la riapertura arrivi così a ridosso del voto fa temere che qualsiasi sbavatura o difficoltà possa essere utilizzata per la campagna elettorale. Quindi niente va lasciato al caso. E infatti Conte ha strigliato i ministri spiegando che «la responsabilità sulla scuola è di tutti», nessuno escluso. Anche perché «la destra è pronta ad attaccarci su questo tema».  Come confermano poco dopo le parole di Matteo Salvini che dagli schermi di La7 tuona: «La mascherina per i bambini di sei anni è una follia. Mi rifiuto di pensare che qualcuno imponga di stare in classe per quattro-cinque ore a bimbi di sei e sette anni con la mascherina che fa male. Stiamo parlando dell’assurdo».

Critiche a parte, l’uso della mascherina, al momento, è confermato anche in classe, quando non si potrà assicurare il metro di distanza tra alunno e alunno, e in caso di sospetto contagio le raccomandazioni prevedono che l’alunno sia isolato in una stanza allestita ad hoc, per poi essere affidato ai genitori.

Non ci sarà, invece, alcuna deroga all’uso della mascherina e al metro di distanza sui mezzi di trasporto pubblico locale. Si punta a utilizzare i separatori e a differenziare gli orari scolastici. Dall’8 settembre dovrebbero arrivare i banchi monoposto, mentre l’Istituto superiore di sanità ha stilato le regole per la gestione di casi e focolai nelle scuole.

Ma che la situazione sia vissuta con preoccupazione nella maggioranza è confermata anche dalla riunione che Conte ha convocato, poco dopo quella con i ministri, con i capidelegazione del governo. Sembra che sia stato proprio Dario Franceschini a fare richiesta esplicita a Conte di riunirsi. In agenda la scuola, ovviamente, ma anche migranti e regionali.

Tutti temi che si intrecciano tra di loro e che stanno dando vita a una miscela esplosiva. Ad esempio, Conte guarda con preoccupazione all’escalation di dichiarazioni dei vari presidenti di Regione. Qualche giorno fa De Luca con l’ipotesi di bloccare gli spostamenti interregionali; e poco dopo l’ordinanza del governatore siciliano Musumeci per chiudere gli hotspot. Ecco, il timore del governo è che la situazione possa sfuggire di mano e che anche altre Regioni possano prendere l’iniziativa.

Nicola Zingaretti

Il tutto visto in prospettiva del voto regionale, che per molti all’interno dell’Esecutivo è all’origine delle tensioni di questi giorni. Tensioni che alla fine potrebbero avere un riflesso diretto anche sull’esito della consultazione elettorale. Ne è convinto anche Nicola Zingaretti il quale ieri pubblicamente, per la prima volta, ha messo in relazione il risultato delle regionali con i futuri scenari politici. Un avviso chiaramente per il premier Conte.

Zingaretti a Conte: «Procedere al taglio dei parlamentari e parallelamente fare modifiche regolamentari»

«Quando si vota in sette Regioni ci sono sempre ripercussioni nella politica italiana, sulla destra, sul centrodestra, in linea di massima su tutti. Sarà un pronunciamento importante. Perciò non condivido gli opposti estremismi: sbaglia chi dice che è un referendum sul governo perché non è vero, ma anche chi dice che al contrario si vota solo per il territorio. Sono opposte posizioni, entrambe parziali, perché un voto così importante in sette regioni, sarà anche un voto importante per gli scenari futuri della politica italiana».

E’ evidente che in queste parole c’è anche l’effetto del mancato accordo in vista delle regionali con il M5S, su cui il vertice del Pd continua a masticare amaro. Così come sul tema della riforma elettorale, per ora sfumata, ma su cui Zingaretti non intende fare passi indietro al punto da mettere in dubbio il sostegno al referendum.

«Noi abbiamo deciso un anno fa di procedere al taglio dei parlamentari e parallelamente a fare modifiche regolamentari per rafforzare questo aspetto. Se questo non avviene, non è un problema del Pd che lo ha chiesto, ma di tutta la maggioranza. E confido che il presidente Conte e l’intera maggioranza capiscano che è un tema da affrontare».

Prossima settimana direzione nazionale del Pd decide posizione su referendum

Parole che chiamano in causa direttamente il premier Conte e soprattutto il rispetto del patto politico su cui nacque un anno fa il Conte bis. Dal Nazareno si attende la direzione nazionale della prossima settimana per decidere l’atteggiamento sul referendum. Rimane, comunque, difficile che il Pd si schieri per il ‘no’ anche se si attende la riunione dei capigruppo della Camera fissata per la prossima settimana. Si valuterà la disponibilità degli alleati ad accelerare l’esame della legge elettorale, per giungere prima delle stesse regionali al voto in Aula alla Camera. Questo sarà il metro per misurare l’impegno del Pd nel referendum.

Tutto ciò però indica che al Nazareno la misura è colma. Ad un anno di distanza i sondaggi vedono il Pd ancora inchiodato al 20 per cento, incapace di guadagnare consensi come invece fece la Lega di Salvini. Ecco, che Zingaretti è costretto a portare a casa qualcosa (ci sarà anche la questione Mes da affrontare) anche perché se il voto delle regionali dovesse essere pesante la sua stessa segreteria potrebbe essere in pericolo.

Non sono passati, infatti, inosservati i movimenti di Bonaccini e dello stesso Gori che da tempo chiedono un’inversione di rotta e un passo diverso. E appunto, se a fine settembre il Pd dovesse trovarsi senza legge elettorale e con due regioni perse, sperando che non siano tre, la posizione di Zingaretti si farebbe davvero delicata.

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