Tra le vittime del Covid-19 c’è n’è una di cui nessuno intende parlare: l’Europa federale o meglio, la Commissione esecutiva e il suo sedicente governo superstatale.
Oggi i popoli hanno capito l’importanza del ‘nazionale’ e sembrano volersi mettere sotto la protezione del loro vecchio Stato nazione, concetto fino a ieri dato per stantio ed obsoleto, ma che oggi sembra rappresentare un valore sicuro rispetto all’evanescenza delle istanze europee. Ritorna così la logica incontrovertibile della sovranità di ogni singolo Stato nazione e delle Piccole Patrie, a dimostrazione che, se esiste effettivamente un substrato culturale europeo, non esiste il ‘Demos’, un unico popolo d’Europa nonostante ci si sia sforzati in ogni modo di convincere tutti che un italiano, a esempio, possa essere considerato anche svedese o portoghese.
Costretta a procedere a tentoni, la struttura tecnocratica europea è diventata piuttosto un corpo inappropriato in questo periodo di epidemia galoppante. Viviamo attualmente il paradosso della vicenda dello Stato italiano, un paese retto da improvvisatori che sta esplodendo all’arrivo del momento di crisi, incapaci e contraddittori nelle scelte, ma anche di un Paese che si trova in stato di pre-adesione, la Serbia, il cui presidente Vucic ha accusato l’Unione europea di aver dimenticato completamente il suo paese limitando le esportazioni di materiale medico-sanitario: uno zelo eccessivo oggi, se consideriamo che ieri la stessa Unione seppelliva Belgrado sotto un tappeto di bombe.
Nell’esempio dell’Italia – uno Stato membro che le stesse istanze europee avevano abbandonato, come hanno fatto tutti i suoi vicini del vecchio continente, lasciata da sola a fronteggiare la massiccia invasione migratoria, anzi additata come alunna ribelle quando Matteo Salvini, da Ministro dell’interno, aveva tentato di porvi rimedio – oggi viene nuovamente abbandonata di fronte all’invasione epidemica.
A ben vedere questa crisi non è soltanto sanitaria, ma è una crisi soprattutto politica. E dalla politica alla geo-politica il passo sembra essere relativamente breve se, altre potenze mondiali che hanno una strategia ed una visione chiara del lungo termine, non credono, come fa l’Europa, alla fine della Storia.
La Russia e la Cina sono quelle nazioni che hanno capito che il vecchio mondo, regno del diritto e del commercio equo appartiene già al passato, che l’economia non può essere il fine ultimo e che la politica ha davanti ancora un futuro ben definito.
Così è ovvio che oggi l’Italia si rivolga piuttosto verso Mosca – che ha già inviato nove aerei, un centinaio di medici epidemiologi e otto intere equipe – e verso la Cina che ha inviato parecchie tonnellate di attrezzature respiratorie e di mascherine. Due paesi che intervengono laddove la coesione tanto sbandierata di questa Unione inutile non è in grado, o non vuole manifestarsi.
Aggiungiamo ancora uno schiaffo ‘geo-politico’ alle istanze di Bruxelles: Cuba, a suo turno, invia in Italia un gruppo di una cinquantina tra medici e infermieri altamente specializzati nella lotta contro l’epidemia aviaria e il virus dell’ebola, già combattuta in Africa.
In tempo di crisi evidentemente ogni aiuto è ben accetto, senza retro pensieri e senza banalizzare l’impegno del governo cubano che interviene conscio delle insidie insite nell’epidemia, ma capace di mettere da parte questa paura, per manifestare al mondo i valori della missione rivoluzionaria in cui i medici cubani ancora hanno dichiarato di credere. Medici della rivoluzione certo, ma… che differenza con i tecnocrati ‘europeisti’, rimasti ormai senza più bandiere e senza più valori.
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