Ricordo che non molto tempo fa qualcuno mi disse che le «conquiste sociali» si chiamavano così perché per ottenerle, c’è stato chi ha dovuto lottare anche duramente, contro coloro i quali volevano tenere il popolo nella miseria, nella povertà e nell’ignoranza e in condizioni di “subalternità”. Quella condizione in cui si trovano gruppi e classi sociali esclusi scientemente dalla conduzione della guida dello Stato. Oggi però è diverso, perché il “potere” vi ama, ed è difficile lottare contro chi dice di amarci…
Vi sono due scrittori che amo leggere particolarmente e di cui conservo tutti i loro libri gelosamente, soprattutto quattro volumi rilegati in pelle con i caratteri in oro su sfondo blu, la carta sottile e leggera al tatto quasi impalpabile ed i caratteri eleganti, si proprio belli. Mi sono stati regalati da persone a cui voglio bene ed a cui mi legano rapporti e sentimenti di amicizia profondi, che affondano le radici ai tempi in cui ci si sbucciava le ginocchia giocando nei cortili che delimitavano i palazzi.
Uno è Franz Kafka, l’altro è Edgar Allan Poe. Di Kafka in particolare c’è un mini-racconto che amo particolarmente, pubblicato per la prima volta nel 1918 all’interno della raccolta ‘Un medico di campagna’, intitolato ‘Un messaggio dell’Imperatore’. Racconta la storia di un misterioso imperatore di cui si sconosce il nome, che sul punto di morte affida al suo messaggero di fiducia un messaggio da consegnare a quello che viene definito un suddito miserabile e anch’esso sconosciuto.
Il simbolismo di Kafka è evidente ed esplicativo in questo mini-racconto, la figura dell’Imperatore, misteriosa ed irraggiungibile agli occhi del messaggero, che invece è un semplice servitore, un suddito. Il potere, il senso di alienazione e l’inutilità dello sforzo del messaggero che tenta di guadagnare l’uscita dal castello per consegnare il messaggio, sono ben rappresentati dalla complessità e dalla maestosità dello stesso che appare pieno di anfratti, cortili e scalinate, corridoi e stanze immense che sembrano inghiottire letteralmente il servitore e lo tengono separato dal mondo esterno.
Gli sforzi del messaggero diventano ossessivi e rappresentano l’incomunicabilità umana, le barriere che l’uomo non riesce a superare, «al punto che potrebbe morire mentre cerca l’uscita». Non vi dico altro, magari sarete incuriositi e vorrete leggerlo, ve lo consiglio per chi non lo avesse fatto…
Oggi a differenza del passato abbiamo mezzi tecnologici che potrebbero permetterci di “organizzarci” al pari del “potere”, che definiamo “élite”, le quali a differenza nostra, sono abituate ad organizzarsi e agire uniti contro i gruppi sociali, i cittadini o i popoli che si vogliono tenere in subalternità. Mentre “Noi”, ci perdiamo dietro i nostri meschini e miseri individualismi, schiavi della sensazione di socializzazione offerta dal virtuale ma vittime predestinate di un perenne isolamento reale, che contribuisce alla propagazione e al dominio del «pensiero unico».
La dimostrazione di quanto siano furbe, le élite, la ritroviamo proprio in quei social che “Noi” usiamo come valvola di sfogo il più delle volte inconsapevolmente. Ricerchiamo la gratificazione in un like, un cuoricino, una battuta ad effetto, ci “sentiamo” partecipi ed attivi perché facciamo parte di questo o quell’altro gruppo. Ma il “sentire” ha bisogno di essere vissuto, ha bisogno del reale, altrimenti rimane una sensazione effimera soggetta a mutare continuamente in conseguenza del gradimento degli altri verso ciò che pubblichiamo e/o scriviamo.
Ingoiamo ogni cosa che ci dicono così da dividerci in fazioni, gli uni contro gli altri, per ragioni, argomenti o decisioni che quasi mai si cerca di capire ed approfondire, accontentandoci di ciò che ci danno in pasto e difendendo a spada tratta una parte piuttosto che un’altra. Ci hanno dato la possibilità di accedere ad una marea di informazioni immediatamente fruibili, ma non le usiamo, ci accontentiamo dei ‘meme’, degli slogan, dei messaggi di chi, molto più bravo di noi, ha fatto della comunicazione breve e diretta il suo mantra, così si evita di dover spiegare, approfondire, argomentare.
La “verità” servita in 250 caratteri senza nemmeno lo sforzo di doversela cercare, senza quel fastidioso quanto insopportabile “dubitare” che comporterebbe pensare, riflettere e controllare se, quella che ci viene servita come in un fast food sia la “verità”, oppure se non sia solo una parte, se non addirittura una menzogna ben detta.
Il controllo da parte delle élite è totale. “Esse” usano e sanno usare molto meglio di “Noi” i social, anzi è proprio attraverso quest’ultimi che ci controllano, no, non che ci spiano, quello oramai è palese ed hanno tantissimi altri modi per farlo, no, parlo proprio di controllo nel senso che è proprio con questi mezzi che influenzano il nostro modo di agire e reagire.
Possono ad esempio prendere una decisione e lanciarla sui social o sul web in generale e aspettare le reazioni della gente, decidendo in base a queste ultime se andare avanti o modificare la decisione presa; possono controllare il nostro modo di pensare un po come negli anni ’80/90 hanno fatto con i media, la Tv in primis, ma molto più subdolamente, perché il senso di libertà e di incondizionamento che danno i social ed il web in generale, è più ambiguo e sottile. La manipolazione è ad un tale livello subliminale che è quasi impercettibile ai più.
Tutto, dalle rivoluzioni in nome dei “diritti civili” alle più banali scelte quotidiane, passando per la politica, l’economia e altro, è sottoposto al loro diretto controllo, attraverso, la finanza, i media, il web di cui sono “proprietari”. La tecnologia è il nuovo strumento di controllo delle masse, annulla il pensiero libero e critico e ci rende tutti uguali. Consumatori/schiavi, senza memoria e senza passato, e con questo che si mantengono le “élite”.
I diritti sociali vengono svuotati del loro valore, ed al suo posto veniamo sommersi da diritti civili enfatizzati che rispondono ai bisogni delle élite e non certo a quelli della gente comune, ed è così che hanno reso la “normalità” qualcosa di cui vergognarsi, qualcosa da nascondere e da negare. Stiamo passando dal «le differenze ci distinguono e ci arricchiscono nella reciprocità» al siamo «tutti uguali», niente distinzioni di sesso, colore, culture o religioni. Tutti uguali, ma c’è qualcuno che resta e rimane meno “uguale” di tutti gli altri. C’è sempre. Ed è chi sta decidendo che siamo tutti uguali.
Lo Stato Democratico invece è stato svuotato della propria “sovranità”, da una parte il “vincolo esterno” economico, finanziario e politico, quello che viviamo con la EU ad esempio e rappresentato da trattati europei. Una corrente che porta verso l’esterno l’essenza stessa del nostro Paese e dello Stato, dove la Costituzione che ne è il pilastro, è stata stracciata, bandita, vituperata e gettata nel mastello della carte e del cartone; mentre all’interno lo Stato è come una groviera di formaggio svizzero, sono ben visibili infatti i buchi creati dall’austerità, dalla sussidiarietà e dalla concorrenza spietata tra una regione e l’altra, un comune e l’altro, in nome del pareggio di bilancio e del debito pubblico.
L’uguaglianza sostanziale prevista dalla Costituzione è solo un ricordo, una “bandiera” da brandire opportunamente alla bisogna ipocritamente e che viene subito dopo chiusa nel cassetto quando a chiedere certi diritti sono i cittadini quando provano a rammentare ai politici quali fini dovrebbe perseguire la Repubblica.
Eh no, il problema non sono gli olandesi, i danesi, i tedeschi, i francesi, convinti del fatto che siamo un popolo di scansafatiche e di barbari e nemmeno come qualche mese fa volle precisare l’ex commissario Eu Oettinger che rivolgendosi agli italiani diceva: «I mercati vi insegneranno a votare», o come ci tenne a precisare Mario Draghi ex presidente della Bce quando rivolgendosi agli italiani disse che: «non ha importanza come votate, l’Italia ha il pilota automatico», no davvero non sono loro il problema, il problema sono quegli italiani che pensano e dicono le stesse cose di questi cialtroni, che li imitano come cagnolini ammaestrati tenuti al guinzaglio delle oro paure, quelle che gli si tolga da sotto il muso la ciotola coi croccantini.
E’ di loro che bisognerebbe preoccuparsi, perché questi italiani sono dei cialtroni si, ma sono anche i traditori interni, quelli che sostengono, alimentano e proteggono il “sistema” che li tiene al guinzaglio, con “Essi” stanno a cuccia e buoni con i cittadini invece ringhiano e mostrano i denti, loro sono la rovina del nostro Paese, loro sono i responsabili della miseria in cui tengono il popolo italiano.
Da questo dipende quel senso di alienazione, di soffocamento, di prevaricazione e sottomissione, che accomuna molti, moltissimi di noi a cui non troveremo soluzione stando sui social. Forse,sarebbe il caso di unirsi e incontrarsi e guardarsi negli occhi fuori dai social.
Questo che stiamo vivendo non è un incubo, non è uno dei racconti di Kafka, ma proprio come quel messaggero che si perde nella vastità di quel castello, noi ci perdiamo nella vastità del web navigando tra migliaia di notizie e informazioni che assorbiamo senza mai o quasi mai confrontare con gli altri nella vita reale, che so, al Bar dello Sport, in fila al supermercato, seduti al parco o semplicemente bevendo una birra, e dire che una volta c’erano persino le “sedi di partito”. Navighiamo a “vista” seguendo la rotta che altri tracciano per noi, non sappiamo usare più la bussola né leggere le carte. Forse tutto questo serve ad accettare meglio una realtà che non ci piace, che cerchiamo di nascondere a noi stessi.
E forse non ci rendiamo conto del tutto, di che orrore di mondo stanno costruendo le élite neoliberali, quelli che continuano a dirci di “amarci”.
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