Il giorno dopo la manifestazione del Centrodestra in 100 piazze italiane e con le polemiche sugli assembramenti ancora non sopiti, anzi ci sarebbe la notizia che la Digos starebbe vagliando le immagini per comminare sanzioni, il premier Giuseppe Conte cerca di riprendersi la scena annunciando il “Patto per la rinascita”. Un poderoso programma di interventi che lui stesso ammette non si limita temporalmente a questa legislatura e che punta ad avviare nel Paese la Fase 3.
Annuncio che arriva con l’ennesima conferenza stampa che però stavolta inizia alle 18, nella cornice del cortile di Palazzo Chigi e che si conclude senza impattare sui telegiornali. Conte cerca così di avviare ufficialmente quella fase che da settimane il Pd e anche il Quirinale richiedono. E’ tempo di mettere fine agli annunci e alle promesse, la tensione sociale è dietro l’angolo. Lavoratori, imprenditori, professionisti e disoccupati vogliono risposte.
Le immagini delle manifestazioni del Centrodestra sono ancora ben impresse e al di là delle polemiche strumentali sugli assembramenti (per esempio perché nessuno parla di quelli a Codogno ad aspettare Mattarella oppure quelle del 25 aprile ballando Bella ciao?), la partecipazione spontanea e massiccia indica che esiste un malessere latente e che in qualunque momento può esplodere. Per evitare tutto questo bisogna subito far partire la Fase 3.
E’ quella che ha tratteggiato Conte ieri anche se è sembrata piuttosto un elenco di buone intenzioni, più simile a un programma elettorale, che a un piano di interventi per far rinascere il Paese. Lo stesso annuncio degli Stati generali dell’Economia è parso porsi più in continuità con l’epoca delle task force che invece l’avvio di una fase nuova. A prima vista quello che sembra mancare è una policy e cioè una visione politica per guidare il Paese verso la rinascita.
E l’annuncio di Conte lo conferma: «Intendo convocare a Palazzo Chigi, in una settimana, perché dobbiamo fare presto, tutti i principali attori del sistema Italia: parti sociali, associazioni di categoria, singole menti brillanti. Abbiamo già una base di lavoro, che a giorni sarà fornita dal comitato Colao». Ecco mancherebbe la politica nel senso di capacità di guidare la nave Italia e di indicare la rotta.
Come detto sul piano dei contenuti tante buone intenzioni. A partire dalle riforme: burocrazia, fisco, giustizia e scuola invitando, inoltre, le opposizioni a collaborare «su quelle che sono già in cantiere in Parlamento».
Poi il passaggio sulle infrastrutture, tema molto caro a Matteo Renzi il quale non a caso apprezza «gli impegni del presidente Conte» che «vanno nella giusta direzione» ma invita subito a cominciare «dal Piano Shock su infrastrutture e scuole». Qui l’elenco delle opere incompiute e da realizzare è molto lungo e affronta nodi che dire storici è poco: Basilicata con la costa jonica che è priva di reali collegamenti; il binario unico da Pescara a Bari, a Lecce; completamento dell’alta velocità, che deve riguardare anche Venezia, Milano; la viabilità in Sicilia e infine il ponte sullo Stretto di Messina sul quale dice: «Mi siederò a un tavolo e senza pregiudizi valuterò».
E tutto questo con quali risorse? Qui Conte parla degli 80 miliardi immessi nel sistema Italia finora con i due scostamenti di bilancio, ma è chiaro che guarda ai 750 miliardi di euro provenienti da Recovery Fund. Tutte risorse che tiene a precisare «non intendo queste cospicue somme che verranno dall’Ue non le intendo come un tesoretto di cui deve disporre il Governo in carica».
Risorse a parte il problema riguarda quando saranno disponibili e in che misura, timori che ha ben chiari Conte al punto che dice: «Per il recovery fund abbiamo un problema di immediata spendibilità. Stiamo lavorando, ho parlato con von der Leyen per un ‘front loading’, una anticipazione. Gli strumenti sono modesti ma stiamo lavorando con la Commissione europea per delle anticipazioni più consistenti».
Ecco il vero nodo che da qui a qualche settimana il premier dovrà assolutamente sciogliere, perché se queste risorse non dovessero arrivare subito e in maniera significativa ben poco di quello annunciato potrebbe essere realizzato. Al massimo le riforme a costo zero, il che significa che il rischio dell’esplosione sociale non sarebbe evitato e lo spettro di un milione di nuovi disoccupati, come paventava ieri il Corriere della Sera, a settembre sarebbe reale con tutte le conseguenze sulla stabilità del quadro politico.
E sul fronte politico Conte può contare su un atteggiamento ‘morbido’ di Forza Italia. Silvio Berlusconi in una lettera pubblicata ieri sul Corriere della Sera parla di «un grande scatto, un’assunzione di responsabilità», attraverso «un dialogo costruttivo», come «quello che consentì all’Italia di risollevarsi nel dopoguerra». «Il Paese deve essere unito, bisogna mettere insieme le migliori energie per sedersi intorno a un tavolo e costruire un progetto comune che guardi al futuro, alla rinascita». Parole che sembrano quasi anticipare un governo di larghe intese.
Al quale si sottrae subito Giorgia Meloni, la quale in un’intervista all’Adnkronos spiega che l’unica strada «per affrontare seriamente i grandi problemi del nostro tempo» passa per «governi con un chiaro mandato popolare e che non siano frutto di alchimie di palazzo». E sul patto lanciato da Conte è tranchant: «Milioni di italiani assistono basiti, chiedendosi con quale coraggio si facciano nuove promesse quando non sono ancora arrivate le risorse promesse in analoghe conferenze di due mesi fa. Ma forse per rendersi conto di quanto tutto questo sia surreale occorrerebbe, ogni tanto, uscire dal palazzo e dalle conferenze virtuali».
Mentre Matteo Salvini in un video su Facebook rilancia: «Gli italiani meritano fiducia e concretezza. Se il presidente del consiglio ci ascolta fa il bene del paese, se vuole insistere a fare tutto da solo come ha fatto nei mesi passati fa il male dell’Italia».
Le prossime settimane saranno quindi decisive per la vita del governo che potrebbe arrivare all’appuntamento della grande manifestazione del 4 luglio a Roma del centrodestra con il fiato corto e con il rischio concreto di dover passare la mano. Per questo a Conte converrà giocare bene le carte a sua disposizione e soprattutto in Europa. Ma intanto sembra già delinearsi il quadro delle forze politiche che potrebbero essere disponibili per un dopo.