Ruggero Cappuccio: Ritroviamo la nostra spiritualità. Il Covid-19? E’ venuta meno la consonanza tra uomo e natura

di Dario Caselli

«Questo lockdown può essere un’opportunità per tutti noi. Dobbiamo pensarlo come la siepe dell’ermo colle di Giacomo Leopardi. Tutti sono capaci di vederla ma soltanto uno ne ha tratto ispirazione per un capolavoro immortale come ‘L’Infinito. Ecco questo lockdown potrebbe essere la nostra siepe, ma sta a noi trarne esperienza per realizzare un capolavoro».

Ruggero Cappuccio, regista e attore, figlio della grande tradizione culturale napoletana e direttore del Napoli Teatro Festival, è all’altro capo del telefono, il Covid-19 impedisce di vedersi ma fortunatamente non di sentirsi. Ciononostante, la sua voce è forte e chiara, i suoi pensieri lucidi a cui il vento che ogni tanto si intromette nella comunicazione sembra addirittura dare maggiore profondità.

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Più che un’intervista è una conversazione non imbrigliata nei lacci delle domande e delle risposte. Una conversazione che mi piace immaginare sotto un pergolato, come quello in cui si ritrovano Antonio Barracano, il sindaco del Rione Sanità, e Arturo Santaniello, il panettiere di via Giacinto Alvino; e lo ascolto con la stessa deferenza con cui quest’ultimo ascoltava il primo, e parola dopo parola mi offre spunti e angolature da cui guardare questa pagina drammatica di storia, che per lui potrebbe avere anche un titolo «Il coraggio e la paura».

Sarebbe un titolo perfetto per il suo prossimo spettacolo, ma per ora sono le lenti attraverso le quali guardare questa tragedia. «La nostra vita in queste settimane è oscillata lungo queste due coordinate. Paura per i nostri cari e amici, ma anche per noi stessi, e poi il coraggio di rialzarsi e tornare a vivere». Due momenti diversi ma strettamente uniti, che traggono significato l’uno dall’altro perché «l’unico modo per sperimentare il coraggio è passare proprio attraverso la paura».

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Una visione dialettica che per Ruggero Cappuccio offre anche la chiave interpretativa di quello che è accaduto: «E’ l’assenza di consonanza tra uomo e natura che ha prodotto tutto questo. La terra potrebbe fare a meno dell’uomo, ma non il viceversa. Gli uomini si considerano centrali ma non è così, perché non decidiamo noi quando nascere e nemmeno quando morire». Il tutto in «un universo che ci appare come un’orchestra dove quando si va fuori tempo interviene il direttore per far ricominciare tutto daccapo. Ecco, è accaduto lo stesso con noi, siamo andati fuori tempo dalla natura. L’abbiamo devastata e bistrattata, dimenticando la consonanza». In una sola parola, quindi, è venuta meno l’armonia.

Basterebbe ritrovare l’armonia per tornare alla normalità, ma non è semplice: «Dinanzi alla natura che reclama i suoi diritti quello che possiamo fare è recuperare la consapevolezza in noi stessi. Essere più cittadini e meno consumatori, guardandoci attorno verso le persone più vicine per sviluppare quel processo di consapevolezza di ognuno di noi». Consapevolezza che sta per «dimensione spirituale. Troppo spesso usciamo dalla scuola senza sapere niente di noi, delle persone che ci circondano. Questa può essere l’occasione per riappropriarci della nostra spiritualità, lontano dalla compulsione capitalistica che più di tutto ha messo in crisi la consonanza tra uomo e natura».

Ed ecco che allora il Covid, oltre ad essere il simbolo di un’umanità che ha smarrito la strada della Natura, può diventare l’occasione per riflettere sulla nostra società consumistica e capitalistica che sta eleggendo il denaro e la consumazione a suoi punti di riferimento. Con uno sbocco verso «una civiltà che rappresenta un gigantesco funerale». C’è salvezza? Sì, la dimensione spirituale, o come ama ripetere Cappuccio i sentimenti «che sono cosa ben diversa dalle pulsioni e dalle emozioni. Questi vengono costruiti mentre i primi sono legati alla natura».

Uscire da questa emergenza e riappropriarsi della propria dimensione spirituale non sarà un processo semplice, anzi «sarà per pochi, per quelli che sapranno cogliere questa crisi come un’opportunità. E tra l’altro sarebbe ingenuo pensare che tutti possano cambiare. Piuttosto concentriamoci sulle piccole unità, sui piccoli gruppi, sulla cerchia delle persone a noi care per ritrovare la spiritualità perduta. Alla fine sarà la somma dei tanti piccoli gruppi a fare la differenza».

E il teatro può essere utile «come lo è già stato. Chi avrebbe fatto compagnia alle persone chiuse in casa in questi mesi? Senza libri, senza lirica, senza il teatro, gli attori di cinema la gente sarebbe impazzita davanti ai telegiornali pieni di annunci lugubri». Teatro e più in generale l’arte sono parte di quel processo di recupero spirituale.

Quella cultura che l’Italia troppo spesso dimentica o mette da parte senza comprendere le reali problematiche: «In giro si ha una considerazione sbagliata della figura dell’attore, che non è nè ricco nè vive una vita lussuosa. Quello è soltanto il 3 per cento, la verità è che chi vive nel mondo dello spettacolo è un disoccupato perenne che va in scena anche con la febbre a 40, sotto antidolorifici, antibiotici. E con una paga sindacale».

Distorsione della realtà che è anche frutto della tv e di una certa editoria che rilascia un’immagine distorta di questo. Ma Ruggero Cappuccio non ha dubbi che ci siano anche responsabilità delle nostre classi dirigenti poco colte, e inadeguate a garantire un sostegno alla cultura.

E nessuno si illuda che basti un ministro della Cultura per risolvere il problema, «il presidente del Consiglio stesso, un folto numero di deputati e senatori dovrebbero esprimere la consapevolezza di realizzare un progetto per il rilancio della cultura. Questo perché il mondo dello spettacolo va tutelato non soltanto sotto il profilo economico ma in quanto prodotto spirituale. Ma purtroppo in Italia non accade».

L’Italia e il suo patrimonio culturale. Quante volte abbiamo sentito la frase la cultura è il nostro petrolio, ma poi si fa poco come ammette amaramente anche Ruggero Cappuccio il quale ha parole di elogio soltanto per la Campania di De Luca che fa «l’investimento più alto rispetto alle altre Regioni». Una bella eccezione, sorride soddisfatto Cappuccio e che «dipende da De Luca perché senza di lui non ci sarebbe stata questa attenzione».

Rimane però un’eccezione visto che il rapporto tra la cultura e Napoli e più in generale il Sud è stato sempre complicato. Odio e amore? Piuttosto «non disturbate il potere. Eduardo, Francesco Rosi, Riccardo Muti e ancora prima Giovanbatista Vico e Giordano Bruno sono uniti dal fatto di aver dovuto abbandonare Napoli e il Sud. Qui la classe politica ha sempre considerato l’attore, l’esponente culturale uno che alterna lo schema politico, uno che istilla dubbi e che per questo bisogna diffidarne».

E sembra di risentire la voce di Eduardo in ‘L’arte della commedia’, quando fa dire al capocomico Oreste Campese che il teatro non serve e fa paura. «Ahimè Eduardo ha ancora ragione e la sua denuncia è più attuale che mai. L’attore è ancora fuori dal sillabario».

Nonostante ciò si guarda avanti e alla ripartenza che con sollievo Cappuccio annuncia sarà prima di quanto previsto, in estate, già a luglio «con tutta la sezione italiana nella Reggia di piazza Plebiscito con tre palchi allestiti e 110 spettacoli. Poi da settembre spazio a tutti gli spettacoli». Un ritorno che è anche l’occasione per coltivare quella spiritualità che rimane la strada maestra per uscire dalla crisi. Certo non sarà tutto come prima, «gli attori dovranno rispettare le norme sanitarie ma non indosseranno le mascherine. E purtroppo non ospiteremo spettacoli di danza».

Insomma, non vedremo il bacio tra Giulietta e Romeo ma il teatro non perderà la sua magia, la capacità di costruire sentimenti. Di «ricreare quella consonanza tra uomo e natura che rimane l’unica strada affinchè questa tragedia abbia davvero avuto un senso».

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