Il decreto Rilancio non arriva e Conte sfugge al confronto in Parlamento. Domani esame fiducia al Senato per Bonafede ma Renzi tiene tutti sulla corda

di Dario Caselli

Se non è un record certamente poco ci manca. Ormai siamo quasi ad una settimana e del decreto Rilancio si sono perse le tracce. Ufficialmente, ma ufficiosamente le impronte sono ben visibili e portano alla Ragioneria dello Stato dove i contabili sono al lavoro per verificare la copertura delle varie norme. Un lavoraccio visto che si tratta di 258 articoli e soprattutto di mille rivoli in cui si disperdono i 55 miliardi di euro.

Un’attesa che dal governo giustificano vista l’entità della manovra, anzi sarebbe meglio dire delle due manovre come il premier Conte ha tenuto subito a precisare mercoledì scorso. Fatto sta che imprese, lavoratori e famiglie tengono il fiato sospeso per capire se e quante risorse sono previste. Perché la vera domanda che tutti si pongono è se davvero stavolta i soldi arriveranno.

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Un punto che ha molto chiaro il Pd ma anche il presidente Conte visto che già è a lavoro su un altro decreto legge, il ‘Semplificazioni’, proprio al fine di ridurre i tempi di attesa e la burocrazia che finora ha frenato in maniera decisa la distribuzione della risorse.

In attesa anche il Quirinale che da tempo osserva con attenzione i passi del governo non senza preoccupazione. Il timore sul Colle è che la maggioranza che per ora è riuscita a gestire in maniera sufficiente l’emergenza sanitaria, non riesca a sostenere la sfida della recessione economica. Per questa ragione il Pd ha subito chiesto a Conte un cambio di passo e risultati concreti. Così come di mettere da parte i dpcm, di ridurre l’esposizione mediatica e di centralizzare l’attività politica in Parlamento.

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Consigli non tutti seguiti alla lettera da Conte visto che sabato si è esibito nuovamente nell’ennesima conferenza stampa, con tanto di replica arrogante a una domanda di un collega di Rtl che gli chiedeva conto dell’operato di Arcuri. Così come ha disdetto l’appuntamento preso per oggi alla Camera e al Senato per riferire sulla Fase 2 per non precisati impedimenti. Una rinuncia che ha provocato la reazione di protesta delle opposizioni che hanno parlato di «rinvio grave», anche se a tarda sera trapela la notizia che il presidente del Consiglio potrebbe presentarsi in Senato giovedì alle 12 per riferire. Staremo a vedere.

Raccomandazioni a parte è chiaro ormai che il premier va per la sua strada, come mostra anche la vicenda della task force guidata da Vittorio Colao che di fatto Conte ha reso inefficace e quasi pletorica, tanto che raccontano che l’ex ad di Vodafone sarebbe sul punto di mollare.

Intanto l’attenzione è tutta per domani al Senato quando dalle 9.30 si aprirà la discussione sulla mozione di sfiducia al Guardasigilli Bonafede. A preoccupare è l’atteggiamento di Italia Viva che ha comunicato di non aver ancora deciso che posizione assumere e che lo farà soltanto dopo la relazione di Bonafede. Il vero pericolo è la mozione presentata da +Europa di Emma Bonino tutta incentrata sul garantismo e che non a caso si richiama ad Enzo Tortora. Una vera trappola, commentano fonti della maggioranza, su cui difficilmente Renzi potrebbe astenersi, visto il profilo anti-giustizialista che l’ex rottamatore ha deciso di assumere. E che chiaramente punta a lisciare il pelo all’elettorato di Forza Italia.

È evidente che se questa mozione passasse difficilmente il governo potrebbe andare avanti e quindi si aprirebbero diversi scenari dagli esiti però incerti. E che non escludono il ritorno alle urne. Per questo dalle parti del Pd ritengono che quella di Renzi sia soltanto strategia al rialzo per ottenere qualcosa in cambio, visto che i sondaggi lo danno a rischio della soglia di sbarramento.

Se è un bluff o meno lo si capirà anche dall’incontro, ancora da fissare, che dovrebbe tenersi oggi tra Conte e una delegazione di Italia Viva nella quale i renziani chiederanno impegni precisi sul piano shock per sbloccare i cantieri.

Intanto in tema di risorse sul fronte europeo si muove qualcosa con la proposta francotedesca di un Recovery Fund di 500 miliardi. SI tratterebbe, come ha spiegato il presidente Macron, di una dotazione e non di prestiti agli Stati più in difficoltà. Ipotesi salutata con favore in Europa dalla presidente della Bce Largarde che parla di proposta «ambiziosa e mirata». Plaude naturalmente la maggioranza, anche se Conte subito chiarisce che si tratta un «primo passo e che va ampliato».

In effetti al di là degli aspetti positivi le incognite sono tante. In primo luogo le risorse, come ha fatto notare anche Conte, visto che sono ben inferiori a quei 1500 miliardi di cui si era parlato all’inizio; e poi c’è la questione del recupero delle risorse. Se sembra che saranno ottenute attraverso emissioni di titoli rimane il problema di quando saranno disponibili e se iscritte nel bilancio attuale o in quello pluriennale 2021-2027. Ad esempio, subito il cancelliere austriaco, Sebastian Kurz, ha detto: «Ho appena avuto un buono scambio con i primi ministri di Danimarca, Paesi Bassi e Svezia sull’attesa proposta della Commissione Ue sul recovery Fund e sul bilancio pluriennale aggiornato. La nostra posizione rimane invariata».

Non proprio un dettaglio perché se davvero passasse la linea rigorista dei Paesi del Nord Europa, cioè mettere i fondi del Recovery Fund nel bilancio pluriennale, allora questi sarebbero disponibili soltanto dal prossimo anno. Un tempo di attesa eccessivo, quello che come abbiamo detto il governo non può più permettersi. Perché è bene tenere presente che il cambio di passo in questa pandemia non riguarda soltanto l’Italia ma anche l’Europa. Ecco perché l’annuncio del duo Merkel-Macron è positivo ma non risolutivo e che quindi la strada da fare è ancora lunga. Che poi sia il governo Conte II a percorrerla dipenderà dal voto di domani in Senato

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