E’ finita la quarantena anche per la politica italiana. Inizia la Fase 2

di Dario Caselli

E’ arrivata anche per la politica la Fase 2. Dopo quasi due mesi di quarantena anche lo scenario politico sembra uscito dal lockdown e sta iniziando a mettersi in moto. Non è ancora chiaro dove porti tutto ciò, ma è un dato che è in atto un rimescolamento di tutti gli equilibri.

Un cambio di passo che suona anche come reazione rispetto a un premier che ha occupato tutto il possibile, facendosi pure beffe delle consuetudini parlamentari e politiche (ad esempio la fiducia annunciata prima che fosse concluso l’esame del decreto Cura Italia in Commissione in Senato). Ma c’è anche la consapevolezza che se prima i cittadini non avrebbero condiviso schermaglie e iniziative politiche, preoccupati dall’incedere del virus, ora, invece, con il miglioramento del contesto sanitario e il contestuale aggravarsi della crisi economica la situazione è diversa.

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Quindi se non ora quando. Anche perché la crisi economica si va aggravando giorno dopo giorno e il rischio di un’implosione sociale è sempre più concreto. Gli annunci di aiuti e miliardi si susseguono a ritmi incalzanti, ma rimangono tali. I soldi non arrivano e come nella memorabile scena di Miseria e Nobiltà interpretata da Totò a proposito della rendita del suo finto nipote, 600mila lire, si lascia sfuggire «Ma chi le ha viste mai 600mila lire…perché noi paghiamo con gli scec». Ecco come per Totò questi soldi non si vedono.

Così tanto il centrosinistra, o meglio l’area della maggioranza, quanto il centrodestra si agitano e come in una partita a scacchi tutti vogliono fare la prima mossa convinti così di poter avere un vantaggio competitivo.

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Matteo Renzi era stato il primo a riporre gli intenti bellicosi in virtù di un’unità nazionale per combattere il virus, ma ieri ha deciso di rompere gli indugi spiegando in un’intervista a La Repubblica che l’ultimo dpcm sull’emergenza coronavirus «uno scandalo costituzionale». E quindi «ora basta – dice il leader di Italia Viva – non possiamo calpestare i diritti costituzionali con un dpcm. Trasformiamo il testo in un decreto e portiamolo in Parlamento».

E il premier Conte? Fa spallucce spiegando che «non sono al corrente delle sue dichiarazioni, sono tornato a Roma alle 4. C’è libertà di pensiero, a me tocca decidere con tutta la responsabilità del caso». In effetti il problema del premier è più ampio di quello che vuol far credere, perché la voce di Renzi non è isolata.

Lo dimostra quanto sta accadendo alla Camera sul decreto legge del 25 marzo, che stabilisce nuove e più ampie misure di intervento, dove diversi emendamenti non soltanto di Italia Viva ma anche del Pd puntano a un pieno coinvolgimento delle Camere. Ecco allora l’emendamento del deputato Pd Ceccanti, sottoscritto anche da Fassina di Leu, che punta ad «introdurre un parere preventivo del Parlamento, obbligatorio anche se non vincolante, con un tempo certo di una settimana».

Insomma un freno alla produzione di dpcm perché, come spiega proprio Fassina, «non si può continuare a intervenire su diritti costituzionali fondamentali senza il coinvolgimento ex ante ed ex post di Camera e Senato».

Ma è anche il centrodestra in pieno movimento. Da qualche giorno Silvio Berlusconi ha deciso di percorrere una via in solitaria, sostenendo il Mes e annunciando il no alla mozione di sfiducia al ministro Gualtieri presentata dalla Lega. E se non bastasse ieri mattina lo stesso Berlusconi che da Radio24 ha spiegato: «Se vi sono state lentezze e ritardi nell’intervenire a favore dell’Italia, è stato proprio a causa delle resistenze dei partiti sovranisti che sono forti in alcuni paesi del Nord-Europa». Una Forza Italia che quindi cerca di uscire dal cono d’ombra in cui Salvini e Meloni l’avevano relegata e si muove sempre più in autonomia veleggiando verso il centro dove ad attenderla sembra esserci proprio Matteo Renzi.

Anche Giorgia Meloni non rimane a guardare. Ieri battendo sul tempo Matteo Salvini ha organizzato la prima manifestazione post Covid-19 con tutti i parlamentari disposti davanti a Palazzo Chigi a distanza di sicurezza muniti di cartelli  a richiamare le varie categorie professionali per protestare e testimoniare il loro grido di dolore. Ma la manifestazione di ieri non è che il culmine di un’iniziativa politica avviata da settimane e che ha portato Giorgia Meloni ad essere identificata come la vera alternativa politica al governo Conte sul piano delle proposte. E i sondaggi in crescita costante sia riguardo la fiducia personale e sia come consensi al partito dimostrano che questa linea è vincente.

E’ invece Matteo Salvini che sta soffrendo oltre modo questa fase, complice una linea politica ondivaga e a certi tratti contraddittoria. Come quando annunciò la disponibilità per un Esecutivo nazionale e poi nel giro di qualche giorno tornò ad attaccare violentemente il governo e la stessa maggioranza.

E i sondaggi in costante calo confermano questo momento di difficoltà, che si esprime anche nei classici falli di reazione come il commento dato ieri alla manifestazione di Giorgia Meloni: «Non basta andare in piazza con i cartelli per 30 minuti, c’è il Parlamento che rappresenta gli italiani». Peccato che proprio la sera prima Salvini avesse proposto da Nicola Porro a Quarta Repubblica: «Non penso a una manifestazione alla vecchia maniera, ma nessuno ci impedisce di andare davanti ai supermarket con un cartello con su scritto ‘libertà».

Ecco dopo due mesi la politica è ritornata alla libertà e agli immancabili tatticismi. Dove porti tutto ciò ancora è difficile prevederlo ma c’è qualcuno che scommette che a gestire la Fase 2 potrebbe non essere necessariamente Giuseppe Conte. In fin dei conti non esistono gli uomini buoni per tutte le…fasi.

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