Sud: sopravvivere al virus, per morire di fame?

di Mimmo Della Corte

Forse i lettori del ‘Roma’ ricorderanno ‘la Riflessione’ di domenica 5 aprile scorso «Emergenza, evitiamo che paghi ancora il Sud» e sollecitavo i parlamentari meridionali ad impedire che il governo sottraesse al Sud – anche le risorse europee che le regioni del Sud non sono riuscite a spendere e che l’Ue – considerando l’emergenza coronavirus – ha deciso di lasciare a nostra disposizione per fronteggiarne le conseguenze.

Sullo stesso argomento è tornato domenica scorsa su ‘Il Mattino’, il collega Marco Esposito ha sottolineato come «Nel dossier del tesoro sia stata prevista la sospensione della legge (approvata nel 2016 e non ancora entrata in vigore ndr) sul 34% degli investimenti ordinari da destinare al Mezzogiorno». La cui ratio era quella di cancellare lo strabismo antimeridionale dei governi centrali, che quando si tratta di stabilire la quota d’investimenti ordinari alle regioni, da sempre assegna a quelle del tacco, non più del 28%. Decisamente inferiore, insomma, al 34% di residenti effettivi nell’area. Da questo orecchio, quindi, il Governo non ci sente. E se questa è la risposta dell’Italia al Covid-19 ovvero togliere – come sempre – al Sud, c’è ben poco da essere allegri.

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Tanto più se, per la – seppur legittima – paura del contagio, continueremo a correre dietro i santoni del «rischio zero», i pescecani della pandemia, annunciatori di disgrazie future a cominciare dal consulente del ministro Speranza e di aziende farmaceutiche, ex presidente dell’Iss, da cui è stato costretto a dimettersi a causa di alcuni conflitti d’interessi denunciati dalla ‘Iene’ e rappresentante italiano all’Oms al momento in difficoltà, dal quale l’organizzazione ha deciso di prendere le distanze, Walter Ricciardi che ha vaticinato: «in autunno il virus tornerà» a farci visita. E non per cortesia, c’è da presumere.

Ancora di più, se ce ne staremo fermi a guardare gli altri ripartire, perché come sostiene De Luca, «non è ancora il caso di riaprire. anzi se…. il Nord lo fa, chiuderò i confini della Campania». Il Tutto, mentre continuiamo a piagniculare perché il Nord non ci apprezza e ci denigra, dandoci degli «strimpellatori di mandolini», «cicale piuttosto che formiche», «una palla al loro piede», «bravi soltanto a dissipare le loro risorse», e a lamentarci perché il «Lombroso è tornato», vestendo i panni di Feltri, Belpietro e Sallustri. Cosa sulla quale, per altro, non si può non essere d’accordo.

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In tal modo, però, facciamo soltanto il loro gioco, contribuendo anche noi, inconsapevolmente, a penalizzare il Mezzogiorno, ed in particolare la Campania. Già oggi la regione d’Europa con il più alto tasso (53,6%) di popolazione a rischio povertà e di esclusione sociale, perché notevolmente in ritardo sul piano dello sviluppo, rispetto a tutte le altre. Sicché, per provare a recuperare, avrebbe dovuto ripartire in anticipo (ovviamente, con cautela e rispettando, magari rafforzandole, le norme e i controlli per la sicurezza e la salute dei cittadini) e, invece, rischia di restare ferma al palo, anche quando le altre riaccenderanno i motori.

Non è necessario essere geni dell’economia per rendersi conto che un altro periodo di stop forzato, finirebbe per allargare ulteriormente il nostro, già notevole, divario – sia sotto il profilo della dotazione infrastrutturale che dal punto di vista dei livelli occupazionali – con le regioni italiane ed europee, consentendo alla concorrenza d’oltre confine e italiana di strapparci altre fette di mercato che, poi, sarà difficilissimo recuperare. Con il rischio di sopravvivere al Coronavirus, oggi, ma morire di fame, domani.

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