Post emergenza Coronavirus. Ora, c’è un rischio: che sia il Sud a pagarne le conseguenze. Dal silenzio che lo circonda, quel ‘Piano Sud 2030’ da 123 miliardi, seppure diluiti in 10 anni presentato, il 14 febbraio – mentre cominciavano a sentirsi le prime bordate della corazzata coronavirus – a Gioia Tauro da Conte, Provenzano, e Azzolina, con la solennità di sempre, sembrerebbe essere stato «colpito e affondato». Forse, sarò un tantinello malfidato, ma la data di presentazione del piano, mi suscita qualche perplessità. Come mai è stata scelta proprio quella, se già a fine gennaio era stata sottoscritta la «dichiarazione di guerra» al virus, e individuata nel 31 luglio la probabile fine dell’emergenza e, quindi, era prevedibile che sarebbe stato necessario bloccare, a lungo, il Paese. Una presa in giro, del Sud, per dire «volevamo provarci, ma…»? Forse, no. Ma qualche dubbio sulla sua realizzabilità c’era e c’è.
Anzi, quella che era solo una preoccupazione dettata dalle esperienze passate, dalla scarsità delle risorse realmente disponibili e dalla totale mancanza nel piano di una visione complessiva dell’area meridionale, è diventata quasi certezza, a causa della pandemia che sta tormentando il Paese, costringendolo a barricarsi in casa, in attesa che tutto finisca e con la consapevolezza di dover fronteggiare, poi, anche l’emergenza economica. Il blocco dell’economia e dei mercati – secondo Confindustria -, nei primi 6 mesi del 2020 farà crollare il Pil di ben il 10%, che a fine anno, potrà recuperare, ma si fermerà a non più di – 6, sempre che, però, entro maggio almeno il 90% delle attività produttive sarà ripartito.
Coronavirus, crolleranno i consumi e gli investimenti ma crescerà la disoccupazione
Di più, caleranno i consumi -6,8%, gli investimenti -10,6% e l’occupazione -2,5% con un unico dato in crescita quello della disoccupazione che tornerà ai livelli 2009 +11,2%. C’è, quindi, da chiedersi, come farà un Paese che rischia il fallimento a trovare i 123 miliardi da investire nel Piano Sud, seppure scaglionati, come scritto prima, in 10 anni. L’Ue ha promesso di lasciarci utilizzare i fondi europei 38 mld (quasi 22 di competenza meridionale) non spesi e a rischio definanziamento e, quindi, potremmo cominciare da lì.
Bisognerà, poi, anche trovare le risorse necessarie per saldare i debiti con i fornitori della P.A., per le cig causate dalla crisi (anche qui dovremmo poter contare sull’apposito fondo ‘Sure‘ da 100miliardi dell’Ue); pagare i Tfr dei dipendenti pubblici, andati in pensione due anni fa ed ancora in attesa della liquidazione e, infine, per fronteggiare le conseguenze della crisi, tanto più pesanti, quanto più il blocco si protrarrà nel tempo. Perché, più si va avanti, più si spende, meno s’incassa, più le casse (pubbliche e private) e le tasche dei cittadini si svuotano, più sarà difficile ripartire e più esercizi commerciali e piccole e medie imprese rischiano di fermarsi.
E quelle che ripartiranno, dovranno superare ostacoli altissimi fra cui: dipendenti, fornitori e tasse. E se è vero, com’è vero, che a emergenza conclusa, «niente sarà più come prima», a quel punto, il Mezzogiorno si ritroverà ancora più distante dall’Europa e dal Nord. E, già più povero, prima di questa strana ‘guerra’ la cui vittoria è figlia della diserzione, dello starsene rintanati in casa e lontani dal ‘fronte’, dopo lo sarà ancora di più. E lo sarà tanto di più, quanto più i signori dei palazzi romani, distratti dalla gestione del potere e delle clientele, continueranno a dimenticarsi di lui, dei suoi ritardi, delle sue necessità di sviluppo e proseguiranno a trattarlo come un bancomat per drenare risorse da investire altrove.
Per fortuna (si fa per dire, ovviamente), il Paese, in questi mesi di dura battaglia, contro il coronavirus, non ha subito, dal punto di vista infrastrutturale, alcun danno e non necessita di essere – come pure enfaticamente qualcuno sostiene per interesse – ricostruito. Sicché, la sua ripartenza – oltre che dal sostegno a imprese e famiglie – muove da dove muoveva prima: il potenziamento di infrastrutture e servizi nel Mezzogiorno. Di conseguenza, la prima cosa da fare, se davvero si vuole «ricostruire» l’Italia, è smetterla di penalizzare il Sud. Facciano attenzione, i parlamentari meridionali a che il governo non ‘rubi’ al Sud – dopo tutti quelli che gli ha sottratto finora – anche quei 22mld che sono suoi.