L’emergenza Coronavirus ha prodotto una serie di conseguenze non solo sanitarie ed economiche ma anche politiche e comunicative. Abbiamo visto il presidente del Consiglio, prima annunciare, e poi emanare decreti in maniera inusuale e certe volte anche anomala. Spesso creando confusione e reazioni popolari anche pericolose. A seconda dell’annuncio assalto ai treni o ai supermercati, creando psicosi inopportune e fuori luogo. Bozze di decreti uscivano dalle stanze di Palazzo Chigi aggiungendo altra confusione a quella dell’annuncio.
Adesso siamo arrivati agli annunci del sabato sera e nell’ultimo il professore Conte con enfasi ed entusiasmo ha annunciato che avrebbe dato oltre 4 miliardi ai comuni e 400 milioni per la solidarietà alimentare, sempre dati ai Comuni.
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Non risorse aggiuntive, ma fondi già in bilancio. Si poteva fare prima
Nella sostanza questi quattro miliardi sono soldi che già erano destinati ai Comuni, non rappresentano nuove risorse ma un anticipo di quello che le Amministrazioni comunali già dovevano avere e che quindi erano già messe nei bilanci di previsione con le relative partite di spesa. Cioè soldi già impegnati. Quindi poco, anzi nulla, di sostanza.
Il che è anche una scorrettezza a livello istituzionale. Insomma, il professore ha spostato sui Comuni l’attenzione dell’opinione pubblica. In pratica: i soldi li ho dati ai Comuni e quindi cari cittadini andate da loro. Le risorse, però, sono chiaramente insufficienti e in queste ore già molte critiche sono state sollevate in proposito. E fra qualche settimana se non saranno aggiunte altre risorse il rischio è che si scateni l’eventuale reazione negativa dei cittadini che, appunto, si rivolgeranno ai sindaci. A coloro che sono più vicini ai cittadini e che per primi dovranno metterci la faccia.
E al Sud si rischiano nuove tensioni sociali con l’emergenza Coronavirus
Ma non solo. I 400 milioni suddivisi per i Comuni a cui andranno una quota parte, tanti o pochi che siano, come saranno distribuiti ai cittadini? Con quale mezzo? Una card oppure un buono, un accredito in conto corrente? E quali sono i requisiti di necessità di cui si parla nel decreto del presidente del Consiglio? Bisognerà ricorrere all’ISEE o a un’autocertificazione? E anche, come potranno essere spesi questi soldi? Soltanto in derrate alimentari oppure se una persona ha bisogno di un medicinale o di pagare una bolletta potrà farlo con quelle risorse messe a disposizione? Insomma, decine di dubbi che ogni sindaco si pone e a cui ogni Comune potrebbe rispondere in modo differente, creando peraltro disparità fra cittadini di Comuni diversi. Ecco, un caos. Dubbi che ho potuto verificare con mano in alcuni comuni del mio collegio (Prato-Pistoia) e ho paura ad immaginare quello che potrebbe accadere nelle Amministrazioni comunali del Mezzogiorno, dove la fascia di cittadini in stato di necessità è notoriamente molto più ampia. Con il rischio di tensioni sociali.
Sia ben chiaro, non voglio dire che queste risorse non servano, anzi. Ogni centesimo in più è indispensabile, ma occorre anche valutare l’efficacia di come queste risorse sono impiegate e questo dipende dalla correttezza e dalla chiarezza delle direttive che accompagnano queste misure. Credo perciò che l’aspetto più preoccupante, oltre alla salute dei cittadini e alla loro sicurezza, alla situazione economica e produttiva, sia l’inconsistenza di un governo che ogni giorno dimostra la sua inadeguatezza nell’affrontare una delle più gravi e grandi emergenze dal dopoguerra ad oggi.
*senatore di Fratelli d’Italia
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