Una città senza identità … intravede fallimenti dietro l’angolo

di Rino Nania

È quella che non riesce a distinguersi per la sua creatività e bellezza, quella che stancamente procede lungo il suo destino senza riuscire a vivere, ma solo, per inerzia, provare a sopravvivere. Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) oggi appare in tutta la sua vetustà, perché non possiede valori da realizzare e meriti da riconoscere, che possano delineare un’idea diversa di città, in grado di ridare entusiasmo ad una comunità, che vive in uno stato di latente depressione.

Tra Coronavirus e immobilismi: un Sud sempre in ritardo e scarnificato

La paura di questi giorni, tra coronavirus e immobilismi vari, consegna agli osservatori una dimensione di un Sud sempre in ritardo se per un verso irreale, per altro verso scarnificato, in cui rileva lo scheletro di una complessità disordinata e trascurata. Un dimensione che qualcuno definì e classificò come invertebrata da quando la sua comunità ha deciso di non prendersi la briga di rimettere in moto il giocattolo fatto di interazioni, contaminazioni, aperture, attraversamenti.

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Solo su queste basi la mentalità diffusa e percepita concepisce i progetti che acquistano forma, che divengono sostanza che si compie, impronta che lascia traccia, entusiasmo che diviene gioia, sentimento condiviso, potenza che genera e crea. Di contro la città in un meridione esausto, laddove perde la sua trasparenza e diviene oscura nelle sue trame e nelle sue velleità, appartiene al mondo del disvalore, quello che mistifica, che si oppone al bello, perché tutto deve rimanere misteriosamente preda dei pochi.

In questo quadro la tecné oligarchica organizza senza palpito, ovvero frutto di una mente che razionalizza senza dare respiro in una dimensione amorfa perché non ha aspirazioni naturali, quelle che sbocciano facendo emergere ed affermare le vocazioni naturali da declinare sul territorio. Questo in controluce è lo specchio di un vuoto culturale, che non si colma coll’esercizio del potere ma con l’arte in potenza, quella che non si annoia perché costruisce ridando gioia alla partecipazione, che se non appagata diviene frustrazione che scompone, che disgrega e che conduce ad attimi fuggenti perché non riesce a dare compiutezza e completezza ai percorsi che si scelgono ed intraprendono.

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Ecco che le realtà di un meridione senza più spirito evocatorio consistente divengono momenti disarticolati di un fallimento, prima esistenziale e poi quali momenti di comprensione di un mondo che prende atto della propria degenerazione, fatta di sconclusioni mistificanti che, giunti all’osso, rappresentano l’affaire non come costruzione egoistica o egotica, ma interessi che se portati all’estremo tentativo si autoelidono. Così laddove una comunità perde il senso di verità, perde se stessa, diviene incerta nel suo cammino, perché dubbi sono gli interessi quali presupposti e moventi del suo incedere, incapaci di mietere fiducia, anzi proiettati dalla diffidenza capillare al fallimento.

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