Falsi e ‘pezzotti’ pay-tv, il business milionario dei clan. L’ombra dei Mazzarella

L’analisi in una relazione parlamentare: «L’affare ha soppiantato il contrabbando»

È stata di recente presentata alla commissione parlamentare sulla contraffazione, la relazione sui rapporti con la criminalità organizzata. Un documento di 49 pagine in cui si analizza l’evoluzione del fenomeno e, soprattutto, il ruolo che in questo svolgono le organizzazioni malavitose e, in particolare, la camorra napoletana. Il primo dato che emerge dalla lettura del documento è che il mercato dei ‘falsi’ e la loro produzione è radicalmente cambiato.

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Il relatore, infatti, scrive: «Mentre in passato la contraffazione aveva una dimensione locale e sostanzialmente artiginale, oggi, questo fenomeno è diventato una vera e propria industria della contraffazione, con canali del tutto nuovi e collocati anche nella rete elettronica, realizzata in modo sistematico e su dimensione sovranazionale».

In particolare, il relatore fa riferimento alla visita che la Commissione ha svolto a Napoli nella primavera scorsa durante la quale è emerso che «l’evoluzione della contraffazione negli ultimi decenni, passata da un ambito locale, che sfruttava una propensione, ad esempio, nell’area del napoletano, delle maestranze locali ai falsi di qualità e che operano in specifici settori, ad esempio nella pirateria digitale (come i ‘pezzotti’ delle pay tv) ad una dimensione internazionale nella quale le organizzazioni di stampo mafioso gestiscono in modo imprenditoriale le attività».

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La strategia della camorra

Secondo l’analisi, quindi, le mafie italiane e, in particolar modo, la camorra, che da sempre ha fatto del ‘falso’ una delle sue principali fonti di guadagno, avrebbero mutato strategia, rinunciando a produrre sul posto per acquistare dalla criminalità straniera con la quale si stringono accordi di natura prettamente economica. Una conseguenza di questo cambiamento è che i ‘falsi’ commercializzati hanno perso qualità rispetto a quelli che, invece, erano prodotti tra Napoli e provincia.

Tuttavia, il loro numero è esponenzialmente cresciuto come dimostrano i sequestri sempre più frequenti da parte delle forze dell’ordine. Particolare attenzione è stata posta nel ruolo che in questa attività gioca la camorra, definita dalle stesse forze dell’ordine come la «realtà criminale più dinamica e attiva nella gestione e nel controllo» di questo settore del l’illecito. A Napoli, così come in alcuni comuni della provincia, sono state individuate della aree, corrispondenti ad alcuni quartieri del centro o comuni della fascia vesuviana, dove la produzione dei ‘falsi’ sarebbe ancora direttamente gestita dai boss.

Tuttavia, a preoccupare è la diffusione delle merci contraffatte. In particolare, si legge nella relazione, il fenomeno, facendo le debite proporzioni, «ha sostituito quello che una volta era il contrabbando di sigarette. Il posto sul territorio viene preso dalle bancarelle di merci contraffatte». E quando si parla di contrabbando, il nome dei Mazzarella è il primo che viene in mente. Un affare, quello dei ‘pezzotti’, che garantisce alla camorra enormi guadagni al punto che alcune consorterie avrebbero trasformato la commercializzazione dei falsi in veri e propri ‘rami d’azienda’ affidati a specialisti del settore in costante collegamento con i boss.

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Il centro di Napoli e la provincia vesuviana

Sono i quartieri del centro di Napoli, secondo la commissione parlamentare sulla contraffazione, l’area in cui si concentra il maggior numero di fabbriche specializzate nella produzione di merci contraffatte dell’intero territorio nazionale. In particolare, si legge nella relazione presentata lo scorso dicembre, tra il rione Sanità, il quartiere Pendino-San Lorenzo e Gianturco sarebbero attivi decine di piccoli ‘produttori’, molti dei quali legati alle organizzazioni criminali che controllano questa porzione di territorio.

Un primato che, tuttavia, sarebbe condiviso con i comuni della fascia vesuviana e, in particolare, con Terzigno, Ottaviano e Palma Campania oltre che con alcune cittadine dell’hinterland partenopeo come Arzano e Casoria. Qui, come accertato dagli stessi investigatori, nel corso degli ultimi anni sarebbero prodotti la maggior parte dei falsi ‘made in Italy’ che, poi, sono stati venduti non solo in altre regioni ma anche all’estero.

In passato, infatti, una complessa indagine della Dda di Napoli portò alla luce come le principali organizzazioni criminali di Napoli e provincia avessero nella commercializzazione all’estero di prodotti falsi una delle principali fonti di guadagno. Commercializzazione che avveniva attraverso due canali ben distinti. Il primo era quello dei ‘magliari’ ossia venditori ‘professionisti’ che si occupavano di vendere con la tecnica del ‘porta a porta’.

L’altra, invece, è quella di utilizzare vere e proprie attività commerciali intestate a prestanome in cui, accanto agli originali, facevano bella mostra i ‘pezzotti’. Un’ attività, quello della produzione e vendita di merce fasulla, che i clan non avrebbero mollato, anzi. I boss, infatti, si sono adeguati, secondo gli investigatori, ai nuovi tempi stringendo accordi con i principali produttori stranieri. Nel corso dell’ultimo periodo, ad esempio, sono emersi rapporti tra la camorra e soggetti legati alla criminalità cinese.

I canali per l’importazione

Rapporti finalizzati all’importazione di ‘falsi’ da rivendere sul mercato napoletano e nazionale. Proprio in Cina ma anche in Turchia, Marocco, Egitto e alcuni paesi del sudest asiatico ‘emissari’ dei boss sarebbero stati inviati per acquistare direttamente dai produttori dei ‘falsi’. I canali utilizzati per l’importazione, in alcuni casi, sarebbero gli stessi usati dai clan per altri traffici illeciti. Così, ad esempio, cinture e oggetti in pelle prodotti in Turchia seguono la stessa strada dell’eroina che, proprio dal paese, parte alla volta dell’Italia.

A preoccupare, però, non è solo la diffusione del fenomeno ma anche il numero, sempre maggiore, di prodotti ‘copia degli originali’. Inizialmente, infatti, la contraffazione riguardava soltanto capi d’abbigliamento e il settore degli audiovisivi. Negli ultimi anni, però, si è estesa a a diverse tipologie di prodotti tra cui anche alcuni estremamente nocivi per la salute dei consumatori. Per questo motivo, come suggerito dalla stessa commissione parlamentare, sarebbe il caso di attivare particolari procedure di contrasto che non si limitino a colpire i semplici venditori ma anche produttori e distributori di merce contraffatta.

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