Matteo Messina Denaro: arrestati tre insospettabili finacheggiatori

Uno ha gestito decine di opere finanziate dal Pnrr

La vita di un uomo qualunque di Matteo Messina Denaro. L’acquisto di un’auto, la fila in banca per ritirare un assegno, le polizze assicurative e i bolli meticolosamente pagati. E poi gli esami medici, il ricovero e l’intervento chirurgico ottenuti in tempi record (questo forse non proprio come un comune cittadino). Man mano che emergono nuovi particolari sulla latitanza trentennale di Matteo Messina Denaro il quadro si fa più inquietante e si confermano i primi sospetti: il boss più ricercato del Paese conduceva una esistenza ordinaria grazie a una fitta rete di complici.

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I carabinieri del Ros, coordinati dalla Procura di Palermo, ne hanno arrestati altri tre: l’architetto Massimo Gentile, siciliano da anni residente a Limbiate, in provincia di Monza, dove si occupa di appalti per conto del Comune e dove ha gestito decine di opere finanziate dal Pnrr; suo cognato Cosimo Leone, tecnico radiologo all’ospedale di Mazara del Vallo e Leonardo Gulotta. Salgono dunque a 14 i fiancheggiatori del capomafia finiti in cella dal 16 gennaio scorso, quando un blitz dei Carabinieri mise fine alla sua latitanza.

La vita alla macchia di Matteo Messina Denaro

Da allora i militari con un paziente lavoro hanno tentato di ricostruire la vita alla macchia del boss. E stavolta hanno scoperto che a novembre del 2014 Messina Denaro andò personalmente da un concessionario auto di Palermo per acquistare una Fiat 500 e poi in banca a ritirare l’assegno da consegnare al rivenditore. Il boss usò una falsa carta di identità intestata all’architetto Massimo Gentile e indicò come numero telefonico di riferimento per eventuali comunicazioni quello di Leonardo Gulotta.

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L’input all’ultima indagine deriva da un appunto trovato in casa del boss. La caccia al veicolo ha portato i carabinieri alla concessionaria dove è stata trovata la pratica dell’acquisto della macchina con i documenti consegnati dall’acquirente, tra i quali la fotocopia della carta d’identità su cui era stata incollata la foto di Messina Denaro. Il documento, che portava la firma dal padrino, conteneva alcuni dati corrispondenti a quelli di Gentile e altri falsi: come l’indirizzo di residenza indicato in «via Bono».Per l’acquisito il capomafia ha versato mille euro in contanti e 9.000 attraverso un assegno circolare emesso dalla filiale di Palermo dell’Unicredit di corso Calatafimi.

Allo sportello, per ottenere l’assegno, ha esibito il falso documento, versato euro 9.000 cash e dichiarato che il denaro era frutto della propria attività di commerciante di vestiti. Come recapito telefonico per le comunicazioni ancora una volta il boss ha lasciato il cellulare di Gulotta. L’auto è stata assicurata a nome di Gentile e in almeno un anno le polizze, come hanno mostrato le comparazioni grafiche, hanno portato la firma di Messina Denaro.

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L’acquisto della moto

Dalle indagini è emerso anche che nel 2007 l’architetto ha acquistato per conto del mafioso una moto Bmw che sarà poi lo stesso Gentile a portare alla demolizione in una officina a cui si fa riferimento in un pizzino nascosto in una sedia, trovato a casa della sorella di Messina Denaro, Rosalia. I bolli di moto e auto nel 2016 sono stati pagati l’uno a 40 secondi dall’altro in una tabaccheria di Campobello di Mazara dove, sette anni dopo, pochi giorni prima dell’arresto, il capomafia era andato a fare acquisti, come dimostra uno scontrino ritrovato dal Ros.

Il fronte sanitario

Poi c’è il fronte sanitario, tutto ancora da scandagliare. Al momento è emerso che il latitante ha potuto godere di aiuti importanti come quello ricevuto da Cosimo Leone, che si sarebbe occupato di far fare una Tac urgente al capomafia (Tac, come risulta da documenti sanitari, anticipata più volte).

Secondo gli investigatori, inoltre, Leone avrebbe costantemente informato dello stato del paziente un altro fiancheggiatore, Andrea Bonafede, cugino e omonimo del geometra che ha prestato al boss l’identità per farsi curare. Sono decine i contatti telefonici tra i due nei giorni in cui il capomafia si trovava all’ospedale di Mazara scoperti dai carabinieri. E dalle analisi dei tabulati risulta evidente che Bonafede fece avere al boss un cellulare mentre questi era ricoverato.

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